Capitolo 19

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Continuo a guardarmi intorno nervosamente e constato che la grande sala d'aspetto azzurra, se fino a qualche mese fa era confortante, ora mi sembra un luogo del tutto ostile.

Osservo le due coppie che ci precedono e mi sento sempre più a disagio. Sia per la mia età, ma anche perché loro continuano a scambiarsi frasi diabetiche, mentre io sono letteralmente seduta accanto ad una statua.

Cole non proferisce parola da quando ci siamo incontrati e questo suo comportamento idiota mi fa soltanto venire voglia di spaccargli la faccia.

Non dico che dovrebbe iniziare a dire frasi smielate come le altre coppiette felici nella stanza, ma almeno potrebbe dire qualcosa perché non potergli leggere nel pensiero è frustrante.

Continua a fissare nel vuoto davanti a sé e di tanto in tanto si prende la testa con le mani.

Sembra deciso a rimanere seduto al mio fianco, eppure qualcosa mi dice che i suoi pensieri prenderanno il sopravento e che andrà via.

Sta lottando contro di loro, contro i suoi demoni che oggi sembrano più grandi persino di quelli che lo hanno aggredito al Lummus park.

"Scusa" dice all'improvviso, per poi uscire di corsa dallo studio della dottoressa Young.

Questa volta non starò ferma a guardarlo soffrire. Sono disposta a prendere un fardello del suo male perché, come ho sperimentato sulla mia pelle, condividere le sofferenze aiuta ad alleviare il dolore.

Mi alzo anche io dal mio posto e gli corro dietro. Per quanto mi sforzi di cercarlo con lo sguardo, non riesco a trovarlo.

Devo pensare a dove possa essere andato.

Non può essersi allontanato molto dato che sono uscita dallo studio medico subito dopo di lui.

Ripenso al nostro primo giorno a Londra e mi ricordo della sua proposta di andare all'Hyde park.

Mi disse che i luoghi circondati dal verde lo aiutano a superare i suoi momenti di debolezza. È stata l'unica cosa che ha detto riguardo ai suoi "momenti bui".

Non è molto come indizio, però me lo farò bastare.

Il posto immerso nel verde più vicino è un parco situato a circa cinquanta metri dallo studio. I miei piedi iniziano a muoversi in direzione del luogo pensato e, più sono vicina, più il mio sesto senso conferma la mia ipotesi.

Non appena arrivo alla mia meta lo vedo.

È seduto sotto un'enorme quercia e nasconde il viso tra le mani.

Faccio un respiro profondo e mi avvicino silenziosamente.

"Non voglio essere come lui..." continua a ripetere infinite volte tra un singhiozzo e l'altro.

Vederlo piangere per la prima volta suscita in me qualcosa di strano, qualcosa che fa schizzare alle stelle il mio desiderio di aiutarlo.

Mi accomodo al suo fianco e poso con delicatezza una mano sul suo braccio palestrato.

"Di chi stai parlando?" chiedo con un tono dolce che non mi si addice "Se non mi dici nulla non posso aiutarti" non sono mai stata brava a consolare le persone, però voglio provarci e come prima cosa devo sapere cos'è stato a ridurlo in queste condizioni.

Si asciuga le lacrime con le maniche della felpa e chiude gli occhi per qualche istante in modo da mettere a tacere i suoi demoni e parlarmi di loro.

"Sto parlando di mio padre" non mi aspettavo una risposta del genere, eppure non lascio trasparire lo stupore che provo dalla mia espressione.

Cerca di riprendere a respirare normalmente ed io inizio ad accarezzargli il braccio per incitarlo a continuare.

Perfectly WrongWhere stories live. Discover now