II. L'incontro

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Era ormai mattina ed Addie dovette svegliarsi per andare a scuola. Era stanchissima perché aveva dedicato tutta la notte precedente alla lettera per Louis. Non si pentì minimamente di aver perso tutte quelle ore -in cui avrebbe potuto dormire- per esprimere tutta sé stessa alla persona a cui teneva di più.

In un modo o nell'altro si fece forza e decise finalmente di lasciare le braccia di Morfeo in cui avrebbe voluto restare volentieri tutta la mattina. Come ogni giorno non aprì bocca e si diresse verso l'armadio per prendere la sua divisa scolastica e indossarla.

Quel giorno pioveva. Fuori dalla finestra di camera sua, Addie sentiva le gocce di pioggia battere forte sul vetro ed era una cosa che detestava perché la faceva sentire più malinconica del solito, portandole alla mente ricordi e pensieri tristi che in qualche metodo la rendevano quasi instabile. Scoppiava in lacrime, come se lei stessa fosse una delle tante nuvole di pioggia presenti in cielo.

Faceva freddo, e il tempo passò così velocemente che si rese conto troppo tardi di quanto fosse in ritardo. Indossò in fretta il cappotto e uscì di casa correndo tra le strade della sua città, finendo in una decina di pozzanghere che le sporcarono l'uniforme lavata il giorno prima, rendendola fracida.

"Buon Dio! Questa giornata è iniziata già malissimo" disse, mentre continuava a correre sperando che nessuno si sarebbe accorto del disastro che aveva combinato.

Riuscì ad arrivare a scuola qualche secondo prima del suono della campanella, ma come al solito era triste nel vedere che ad attenderla non c'era nessuno. Entrò nella sua classe e si sedette al solito posto, a sinistra accanto alla finestra. Amava stare lì, la tranquillizzava soprattutto nelle belle giornate. Spesso si distraeva dalla lezione e si concentrava sul giardino che c'era lì fuori: verde, illuminato, pieno di alberi e fiori. Era semplice, ma era proprio per questo che ne era affascinata.

Quella mattina però, le lezioni non iniziarono molto bene: la prof di diritto aveva portato i compiti in classe svolti nei giorni precedenti, con accanto il rispettivo risultato. Per Addie non fu molto confortante vedere un'insufficienza, era la seconda del trimestre, e si chiese quali parole orribili avrebbe dovuto ascoltare dai suoi genitori. Probabilmente l'avrebbero rimproverata facendola sentire una nullità, come facevano sempre in quei casi.

Le ore sembravano non passare più, e lentamente la ragazza cominciò a sentirsi male emotivamente. Il suo respiro diventava sempre più pesante e gli occhi cominciarono a sgranarsi. Scattò velocemente dalla sua sedia e andò in bagno per asciugarsi le lacrime e darsi una sistemata. Avrebbe voluto sembrare una di quelle persone forti, ma non ci riusciva mai. Dava sempre l'impressione di essere una persona debole, molto sensibile e che dava fin troppo peso ad ogni singola parola che le veniva detta. Non voleva essere così, credeva che fosse uno dei motivi per cui le persone non l'accettavano; ma non era di certo colpa sua se la vita le aveva fatto costruire un carattere del genere.

Tornata in classe tutti i suoi compagni la guardarono con aria divertita, come se stessero godendo della sua sofferenza. Era una scena brutta da vedere, ma soprattutto da vivere. Nessuno vorrebbe mai trovarsi in una condizione del genere in cui ci si sente costantemente osservati e messi in imbarazzo. Le paranoie aumentavano, e il pensiero di essere un errore si ampliava sempre di più col passare del tempo. Ma Addie continuò a camminare, ritornando al proprio posto pronta per affrontare il resto della giornata con il suo solito sorriso falso.

Dopo 5 ore infernali, si fece ora di pranzo. Lei e gli altri andarono in mensa, dove ad aspettarli c'era una minestra che non sembrava per niente buona, ma non c'era nient'altro. In quel college l'opzione erano soltanto due: o la minestra, o niente. E così Addie prese la sua zuppetta e andò a sedersi a un tavolo infondo all'angolo della stanza. Nessuno la notava, ma nonostante si sentisse sola, ormai ci aveva fatto l'abitudine, era diventata una cosa normale. Però era una pessima sensazione, insomma, nessuno vorrebbe mai ritrovarsi ad affrontare la propria vita da solo, senza nemmeno uno straccio di amico pronto a darti una mano nel momento del bisogno. Farebbe male a chiunque, eppure non siamo mai disposti ad aiutare chi ne ha davvero bisogno.

Quando la ragazza finì la sua minestra, si diresse verso l'uscita della scuola per tornare a casa. Gli altri continuavano a darle spintoni per farla cadere, ma lei non cedette. Prese gli auricolari dalla tasca del suo giubbotto, li collegò al cellulare e fece partire la riproduzione casuale della sua playlist che ascoltava costantemente ogni giorno. "Little things": quella canzone era così bella, ma ogni volta che la ascoltava non poteva fare a meno di ritrovarsi il viso pieno di lacrime. Avrebbe voluto sentirsi amata per davvero, non solo attraverso una melodia... anche se quella non era solo una melodia, non erano solo parole dette a caso, erano qualcosa di più; qualcosa che pochi avrebbero potuto capire davvero. E lei era una di quelle persone.

Continuò il suo cammino verso la strada di casa. Camminava con lo sguardo basso, sperando di non incrociare gli occhi di nessuno che lei non volesse incontrare. Il tragitto era lungo. Ogni giorno doveva percorrere otto chilometri a piedi da sola perché i suoi genitori si rifiutavano anche di pagarle un biglietto del pullman, e questo la faceva riflettere.

Smise di piangere appena arrivò fuori casa sua. Si fermò sul suo vialetto. Si asciugò il viso nuovamente, per la seconda volta in una sola giornata. Prese un bel respiro profondo, e continuò a camminare. Sentiva il cuore a mille, ed era una cosa che non le succedeva da troppo tempo, d'un tratto era forse diventata ansiosa? Non se lo domandò realmente, continuò a far finta di nulla.

Qualcosa però la bloccò: rimase a bocca aperta. Non poteva credere ai suoi occhi perché vedeva due ragazzi a lei molto familiari affacciati alla finestra di camera sua.

Si stropicciò gli occhi un'infinità di volte, ma quello che vedeva sembrava essere reale "Louis? E quello è Harry?" si chiese tra sé e sé.

Scoppiò a ridere da sola, per lei era una cosa assurda "È impossibile! Sto sicuramente sognando, probabilmente è quella minestra che mi ha fatto questo effetto. Ne sono sicura. Prima o poi li denuncerò, è immangiabile quella robaccia"

Arrivata all'entrata di casa, bussò alla porta senza ricevere risposta "Eh! Proprio come immaginavo, se quei due fossero davvero qui sarebbero già venuti ad aprirmi la porta."

Prese le chiavi ed entrò dentro. Salì le scale dell'appartamento e finalmente arrivò in camera sua. Come al solito era in disordine, pensò che doveva darle una bella sistemata se non voleva continuare a vivere in un vero e proprio porcile. Ma in quel momento le preoccupazioni della sua stanza passarono in secondo piano perché ciò che vide la lasciò nuovamente senza parole. Stavolta rimase pietrificata, con la bocca aperta e gli occhi increduli e spalancati per il troppo stupore. Stava forse sognando, o quella era la realtà?

Her strengthWhere stories live. Discover now