6 - Un problema enorme

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6 ottobre 2012

«Dovevi lasciarmi offrire!» si lamenta Kuroo, mentre tiene la porta della caffetteria aperta, per far uscire Kei.

«Sono io che ti ho portato qui.»

«Ti ho praticamente costretto.»

«Nessuno può costringermi» dice Kei. 

Dev'essere vero. Sembra impermeabile alle costrizioni, pronto a opporre resistenza anche contro il proprio vantaggio, se serve a non farlo sentire messo all'angolo. 

A Tetsurou, però, l'affermazione in qualche modo fa tenerezza. Come gli fa tenerezza quello sguardo scostante che spunta dal bordo della sciarpa, con le lenti che si appannano ogni momento. Una tenerezza subdola, ai confini del desiderio.  In quel preciso momento, Kuroo Tetsurou guadagna una nuova consapevolezza su se stesso, una di quelle da adulti: non è la fragilità esibita che sollecita il suo naturale istinto di protezione, ma, al contrario, la pretesa di indipendenza. Diventare il bisogno di chi si rifiuta di aver bisogno di qualcuno.

«Dove vuoi andare?» domanda Kei.

«Forse dovrei riportarti a casa, fa un cazzo di freddo a ottobre, da queste parti» risponde Kuroo strofinandosi le mani.

Si è fatto buio. Le loro sagome affiancate appaiono e spariscono nei coni d'ombra di ogni lampione. Kei reprime un sorriso, guardando le ombre tremolare sull'asfalto.

«Tu dove vai? Non sarai così pazzo da tornare davvero a Tokyo adesso.» Il tono vorrebbe essere neutro, ma fra le sillabe si affacciano note di preoccupazione autentica.

Kuroo sorride, ma non risponde. Anche Kei tace. Al gioco del silenzio è un campione.

Passano davanti casa di Yamaguchi, Kei getta uno sguardo alla finestra illuminata al secondo piano. A quest'ora, Tadashi starà leggendo qualche manga sdolcinato. Avrà anche già chiamato un paio di volte, ma Kei ha silenziato il telefono. Superano altri due edifici e poi passano oltre la villetta di Kei, senza fermarsi.

«Non è casa tua quella?» chiede Kuroo puntando il dito dietro le spalle.

«Non mi va di rientrare subito» risponde Kei. Per una volta si prende il lusso di dire esattamente la verità.

«Non hai freddo?»

«Che c'è, hai un'altra felpa di cui liberarti?»

«La prima l'hai già consumata?» risponde Kuroo, provocatorio. In realtà, per un attimo ha pensato di dargli la sua giacca, ma sarebbe un gesto eccessivo, persino per  lui.

Kei si accorge di avere un vero sorriso stampato in faccia, nascosto dalla sciarpa.

Hanno svoltato e ora salgono per un pendio dolce, in cima al quale un ultimo lampione getta una pallida luce sul parco di quartiere, con le giostrine di metallo per  bambini. A Kuroo sembra di riconoscere l'altalena rossa della fotografia di prima.

E' proprio all'altalena che si dirige Kei. Si siede, si dà una spinta.

Che sia capace di gesti come questo, che non pretendono di difendere una posa da adulto, è un fatto che stupisce. E che innamora. Come se ce ne fosse bisogno.

Kuroo siede sull'altalena accanto, che risponde al suo peso con un cigolio infastidito.

«La prima volta che ho giocato a pallavolo, o una specie di pallavolo, è stato lì» racconta Kei, indicando un perimetro erboso delimitato da bandierine di plastica colorate. «A cinque anni.»

«Anche io me la ricordo bene, la prima volta. Con mio nonno, in cortile. Di anni ne avevo compiuti sei da poco. Ci eravamo appena trasferiti da loro e io.... beh, diciamo che non ero un bambino facile. I nonni mi avevano regalato per il compleanno una Mikasa bellissima - ce l'ho ancora - sperando che mi aiutasse a farmi degli amici. Ma finivo sempre per trovarmi da solo. E non mi dispiaceva.»

Tsuki No Hikary (#KuroTsuki)Where stories live. Discover now