32 - La vita è dura

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30 novembre 2012

Esattamente alle 20:29 il telefono di Kei inizia a vibrare. In pochi giorni, la videochiamata della sera è diventata un rito. Il marchio di Kuroo è nell'orario, perché uno meno scemo avrebbe scelto cifra tonda.

Il copione prevede una certa reticenza di Kei nel rispondere. Non prima del sesto o settimo squillo. Qualche volta non risponde affatto, e lo obbliga a una seconda chiamata, ma ogni giorno che passa diventa più difficile anche solo contare fino a dieci.

Gli fa una gran paura la voglia che ha di parlare con lui. Di ascoltarlo. Di vederlo. E nonostante ne intuisca gli svantaggi e i pericoli, non sa proprio come metterci un freno. Può provare a resistere, e lo fa, ma è chiaro che lottare contro una tentazione non equivalga affatto a liberarsene.

Che Kuroo ne sia o meno consapevole (Kei suppone, e spera, che non lo sia), quello che sta mettendo in atto è un addestramento pavloviano in piena regola, compreso il banale stratagemma di non cambiare mai orario. La cavia, Tsukishima Kei, inizia a sbavare non appena suona il campanello, ossia l'orologio segna le otto, e poi si logora nell'attesa di quei ventinove lunghissimi minuti. Sempre sbavando.

Il ruolo della cavia a Kei piace pochissimo.

Il telefono vibra ancora, sullo schermo compare il suo numero. Ormai Kei lo sa a memoria e tuttavia non ha voluto salvarlo nel telefono. Per evitare che qualcuno possa impicciarsi, ma soprattutto per avere la sensazione che sia tutto ancora provvisorio. Prendere in giro se stesso, sapendo di farlo, è uno degli apici di demenzialità che quella storia gli ha fatto raggiungere.

Cinque squilli. Sei. Sette. Oggi si merita di aspettare ancora. Otto. Nove. Inizia ad avere paura che riattacchi. Dieci. Undici. Al dodicesimo squillo Kei risponde. Si sente come il perdente di una di quelle gare di trattori nei film americani, a chi frena per ultimo. Lui è il tizio spiaccicato nel fosso.

«Ciao Tsukki!»

L'immagine si forma con mezzo secondo di ritardo e trema leggermente. Di solito fa un sorriso particolare, quando lo saluta, all'inizio di quelle telefonate. Uno con gli occhi allargati e il naso un po' arricciato. Un sorriso che Kei si sta abituando a considerare di sua proprietà esclusiva. Ma oggi no, quello che ha di fronte è il suo sorriso ordinario.

«Ciao scemo.»

«Puoi aspettare un attimo?»

Kei annuisce e intanto tira fuori i libri. Il patto è quello: la telefonata serve a studiare. Tutti e due. Studiare sul serio. Ci riescono abbastanza.

Kuroo è uscito dall'inquadratura, che ora mostra la sua scrivania. Kei si rende conto che conosce quegli oggetti uno per uno: un portapenne di bambù intrecciato pieno di matite colorate e pennarelli che probabilmente non usa da un secolo, un cane di pezza che ha visto tempi migliori, un evidenziatore giallo (Kei gli ha promesso una morte violenta se oserà usarlo su un libro di testo), un vecchio mappamondo, un piatto coperto con un altro piatto, che contiene una mela sbucciata e tagliata a spicchi. Si è crogiolato tante volte nell'idea di Tetsurou che sbuccia e taglia a spicchi una mela anche per lui. 

A interrompere queste fantasie domestiche di bassa lega, intervengono da fuori campo dei rumori incomprensibili.

«Che succede?» domanda Kei.

«Niente! Sto buttando fuori Kenma. Arrivo subito!»

Il primo istinto di Kei è quello di tirare su la zip della felpa, per non mettere in mostra il maglione con il nome di Kuroo ricamato sopra.

«Saluta Tsukki, Kenma!»

«Ciao» biascica la voce monocorde di Kozume. Sullo sfondo si sente uno scalpiccio e uno scambio verbale di cui Kei afferra solo tre o quattro parole slegate. Una di queste è "disturbare".

Tsuki No Hikary (#KuroTsuki)Where stories live. Discover now