26 - Tramonti

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16 novembre 2012 

Una cosa che piace a Bokuto è guardare il tramonto. Anzi, il tramonto in sé gli mette sempre un po' di tristezza, perché, che cavolo, con la luce il mondo è bellissimo. Ma gli piace quel momento sospeso quando l'aria è trasparente e il chiarore non è ancora scomparso, ma già brillano le prime stelle. E tutte le cose iniziano ad affondare piano piano nella notte.

Non è facile spiegare tutto questo a parole. Con Akaashi non ce n'è stato bisogno. Lo ha capito subito. Del resto, Akaashi capisce sempre tutto. E anche a lui piace il tramonto. Quindi lo guardano insieme quasi tutti i giorni.

Quando proprio non è possibile, per esempio quando Keiji è in vacanza con i suoi in qualche posto dall'altra parte del mondo, Bokuto il tramonto lo guarda comunque, e manda a Keiji un sacco di fotografie, ma non è per niente la stessa cosa. Anche perché come fotografo fa pena.

I tramonti migliori sono quelli che Bokuto pensava di dover guardare da solo, e invece poi Akaashi arriva all'ultimo momento. Giusto in tempo.

Come oggi, che c'era di mezzo il dentista. Ma l'appuntamento è finito presto e Akaashi è arrivato di corsa e lo ha trovato sul tetto della scuola, con il naso per aria.

Sta anche piovendo.

Prima di Keiji, si è materializzato l'ombrello. Ne ha comprato uno enorme, grandissimo, blu. Dice che gli piacciono gli ombrelli grandi. Che è un'ottima cosa, visto che Bokuto dimentica sempre il proprio.

Il sorriso lanciato contro Akaashi è di quelli che creano nuovi elementi chimici e bruciano la retina. «Akaashi! Sei qui! Temevo che ti saresti perso lo spettacolo e ti avevo già mandato un po' di foto.»

A dire il vero, lo spettacolo non è un granché: il cielo trabocca di nubi grigiastre e il tramonto bisogna più che altro immaginarselo. Ma lo guardano lo stesso, appoggiati alla ringhiera, il sole è solo un vago alone dietro una cortina di pioggia.

«Da quanto sei qui fuori, Bokuto-san?»

«Da un po', ma non mi sono bagnato tanto. Vedi? Ho il cappuccio.»

Ciocche scomposte di capelli un po' chiari e un po' scuri grondano acqua sulle spalle. La felpa bianca della squadra è così inzuppata che ha cambiato colore.

«Non è impermeabile.»

«Già. Che seccatura. Dovrebbero farle impermeabili.»

«E' meglio se rientriamo» suggerisce Akaashi.

«Ma il tramonto non è ancora finito.»

Se sia finito o meno è impossibile dirlo. Non è ancora notte, ma l'orizzonte è di un grigio uniforme, senza indizi di dove sia il sole. Bokuto scatta un'altra foto.

«Ti ammalerai, Bokuto-san, per favore, rientriamo.»

Una volta, Kuroo ha raccontato a Bokuto di un certo film di fantascienza molto incasinato, in cui una setta di streghe usava la voce tipo condizionamento mentale, per far fare agli altri quello che volevano. Akaashi non è una strega, ma più o meno ha lo stesso potere, perché quando usa quel tono, Bokuto perde ogni velleità di discussione: obbedisce e basta. È persino contento di obbedire.

Non che Akaashi voglia comandare le persone (è gentile con tutti), ma alla fin fine, sa sempre cosa è meglio fare. E adesso è meglio andare di sotto, fare una doccia calda e asciugarsi.

Prima che arrivino allo spogliatoio, Akaashi ha già allungato a Bokuto un asciugamano pulito e una caramella al miele, per evitare il mal di gola.

«Akaashi, senti, posso chiederti una cosa?»

Tsuki No Hikary (#KuroTsuki)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora