15 - Stupidi e bugiardi

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25 settembre 2006 

«No, non c'è» sta dicendo Akiteru al telefono.

Kei, mentre legge disteso sul tappeto in camera sua, sente distintamente la voce del fratello dal piano di sotto. Mamma e Aki non si sono mai accorti che il posto in cui si trova la basetta di ricarica del telefono, una specie di nicchia fra le scale e la cucina, ha uno strano effetto acustico: se parli da lì, si sente in tutta la casa.

Papà lo sa, invece. Evita sempre di fermarsi lì quando è al telefono, o quando parla con mamma. Non può essere per caso: papà non fa mai niente per caso.

«Sul serio? Ma gli avevi detto...»

A Kei piace cercare di indovinare chi c'è dall'altra parte e cosa dice. Si immagina che sia qualche compagno di scuola, magari qualcuno della nuova squadra di pallavolo. Vorrebbe sapere di più di quello che fa Aki quando non è a casa. Prima gli raccontava tutto e giocava con lui molto spesso.

Adesso non ha tempo. Passa a scuola tutto il giorno e la sera deve studiare. Ma Kei è sicuro che, alle superiori, succedano cose fantastiche da grandi e Aki non abbia voglia di condividerle con un bambino. Un po' lo capisce, ma gli dispiace lo stesso.

Kei adora il fratello. Spesso si trova a pensare che vorrebbe essere un po' più Aki e un po' meno Kei. Aki fa subito amicizia, è bravissimo nello sport, piace a tutti, sempre, senza doversi sforzare di tenere la bocca chiusa o di sorridere. E' come se sapesse sempre cosa dire agli altri per piacergli. Certo per le cose di scuola è meglio essere Kei, che Aki.

«No! Non glielo voglio dire io!» protesta Aki nel microfono.

Fa ridere, come parla. La voce ultimamente gli è diventata gracchiante. Perfetta per la scuola superiore dove si è iscritto: Karasuno, i corvi.

«Non è giusto! No! Non lo faccio e basta! Lo fai tu!» Sta urlando, ma con la voce soffocata, come se non volesse farsi sentire. Il che è inutile, perché da dove si trova si sentirebbe anche se stesse bisbigliando.

«Kei! Scendi!» urla, a piena potenza dei polmoni. «C'è papà al telefono che ti vuole parlare.»

Regola numero uno: non bisogna mai fare aspettare papà, visto che è molto occupato. Kei si precipita giù per le scale e strappa al fratello il telefono.

«Ciao papà.»

«Ciao, Kei. Come va, piccolo?»

«Non sono piccolo!» protesta. «Sono alto centocinquantadue centimetri. E mezzo. E sto per compiere dieci anni.»

«Quanti mesi? Quanti giorni? Quante ore?»

E' il loro gioco. A Kei piace fare calcoli a mente e a papà piace che lui li faccia.

«Centoventi mesi. Tremilaseicentocinquanta giorni. E...Ottantasettemilaseicento ore! Col dieci è facile!»

«Troppo facile! Non hai pensato abbastanza e sei caduto in pieno nel mio tranello, Keicchin.»

Kei riflette, ricalcola le moltiplicazioni, che sono facilissime, e non trova nessun errore. Purtroppo, è impossibile che si sbagli papà.

«Pensaci bene. Vuoi un aiutino?»

«No, aspetta... faccio da solo»

Kei riflette febbrilmente, ma non ci arriva.

«Ti stai agitando, Kei. Le emozioni non aiutano mai. Pensaci con calma.»

Kei prende un respiro, cerca di svuotare la mente e concentrarsi. Ma è difficile, con papà che aspetta dall'altra parte del telefono.

«Quanti giorni ha febbraio, Keicchin?»

Tsuki No Hikary (#KuroTsuki)Where stories live. Discover now