40 - Sempre

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8 gennaio 2013

Essere a Tokyo e non poter vedere Tetsurou è una nuova, perversa forma di tortura. Da quando il Karasuno è approdato alla capitale per i nazionali, fra l'euforia dei lercioni e le manie di controllo dei senpai, defilarsi è impossibile. La nuova specialità sportiva di Tsukishima Kei è il conteggio delle fermate di metro fra dovunque si trovi e Nerima.

Nove fermate e un cambio: irraggiungibile, quasi come essere a Miyagi.

Cinque fermate: in un'oretta scarsa si potrebbe fare andata e ritorno e farci stare in mezzo un tè, un battibecco e un bacio molto lungo.

Due fermate: pochi minuti, la tentazione fortissima di sparire oltre i tornelli e infilarsi fra le porte scorrevoli del primo treno, fanculo la squadra e il torneo. Arrivare davanti casa, suonare il campanello, fare una faccia seccata per coprire quella trepidante e poi entrare e chiudere fuori il mondo. Anche solo per dieci minuti, o cinque, o trenta secondi.

Il tempo è relativo. Lo diceva Einstein quasi un secolo fa, ma è Kuroo Tetsurou che lo ha dimostrato, con un'evidenza schiacciante e senza bisogno neanche di mezza formula matematica.  Fra eternità e istante, il tempo non fa distinzioni.



«Quanto dura per sempre?»  

Papà solleva gli occhi dalla pagina in quel punto, e poi rivolge a Kei la domanda, con un grande sorriso.

Kei ride per il solletico di quello sguardo, perché è emozionato, e anche perché ormai conosce benissimo la risposta del libro.

«A volte, solo un secondo.»



«Non sarà ora di ridarmela?»

Kei scuote la testa, schioccando le labbra con un'espressione di finta malignità.

«Fa un freddo cane... »

«Sei così moscio?»

«Non sono moscio!» Tetsurou trattiene il fiato e gonfia un po' gli addominali, tanto per rimarcare il concetto.

«Allora resisti e non rompere.»

E' vero che fa freddo, ma non al Metropolitan Gymnasium di Sendagaya, dove anche i bagni e gli sgabuzzini sono riscaldati (magari non proprio benissimo).  Dalle finestre, si vedono galleggiare le luci abbaglianti di Shibuya, un oceano colorato e tremulo contro un cielo senza luna.

Tetsurou è in piedi, a torso nudo, con un rotolo di cerotto in mano; la sua maglietta rossa e la sua felpa sono addosso Kei, seduto sul lavabo di fronte a lui. E' l'intimità complice e provvisoria di un bagno pubblico deserto, dove aleggia un vago odore di disinfettante industriale, che riporta alla mente di entrambi il ricordo di un momento preciso e materializza un disagio che fino a un attimo prima non c'era.

«Non avrei dovuto farlo, quel giorno, a Sendai. Non ti ho mai chiesto scusa» dice Tetsurou all'improvviso, interrompendo il gesto meccanico di grattare con l'unghia sul rotolo, per trovare l'estremità libera.

«Neanch'io avrei dovuto farlo. Ma sei un rompipalle cocciuto, continuavi a farmi pressione e non sono riuscito a trattenermi.»

«Farti perdere il controllo è la mia vocazione... »

E' una verità talmente scontata da essere irritante, in più, lo scemo sta usando il superpotere e la sua voce bussa con la grazia di un ariete alla sezione lussuria del cervello di Kei, dove tutte le perdite di controllo sono altamente desiderabili. Deglutisce e si allontana di qualche centimetro, spingendosi in su gli occhiali sul naso. 

Tsuki No Hikary (#KuroTsuki)Where stories live. Discover now