Capitolo 1

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La pallavolo è uno sport di squadra e le sue regole sono basilari: battere, ricevere, alzare e mettere a segno punti. Tutto è organizzato e deciso da un allenatore e da una squadra senza la quale, ogni singolo membro risulterebbe insignificante. Nel gioco, ogni azione deve basarsi sull'intesa tra i giocatori, la loro coordinazione e la loro voglia di vincere. Il gruppo significa tutto ed è come se da esso dipendesse ogni cosa, compresa la vittoria. Trionfare assieme, quando succede, ti fa sentire potente, apprezzata e ti riempie di quelle soddisfazioni che pochi riescono ad assaporare o a comprendere. La vita al di fuori del campo, però, è tutta un'altra storia: senza la pallavolo, io, almeno, sono solo un semplice qualcuno. Mi faccio strada tra gli studenti tenendo le monete nella tasca della felpa. Mi asciugo la fronte con la manica e cerco di continuare a respirare. Siamo a Maggio, il mese più bello dell'anno. Probabilmente ti starai chiedendo perché dico così: per esperienza quale giovane giocatrice di pallavolo, posso affermare che è una vera gioia sentire arrivare la fine della scuola mentre ti prepari alle fasi finali del campionato provinciale. Tutto scivola liscio e il tempo passa talmente veloce che nemmeno te ne accorgi.. Se non fosse per il caldo torrido di questi giorni che mi sta davvero uccidendo. Cerco un angolo del bar dove sono accalcati meno ragazzi e riesco ad affacciarmi al bancone. Mi sporgo più che posso con i capelli che mi scendono sulle spalle. Gesticolo come una squinternata ma ancora sembra badare a me. Scocciata, lascio cadere i soldi sul piano e il rumore fastidioso riesce a catturare l'attenzione di una delle due signore. Ha i capelli corti ed indossa una di quelle cuffiette che indossano di solito quelli che servono alla mensa e che io trovo decisamente inquietanti. I precedenti li lascio alla tua fervida immaginazione.

«Salve. Ci sono ancora delle patatine?» chiedo con la voce che a causa del caldo, assomiglia ad un sussurro.

Lei mi guarda e sorride.

«Quelle ci sono sempre.»

Si accovaccia dietro al bancone e la sento che rovista con insistenza tra pacchetti e scatoloni. Cerco di sbirciare domandandomi cos'altro nasconda sotto il ripiano. Caramelle? Bibite? Oppure quei deliziosi salatini che non riesco mai ad acciuffare prima di quelli del primo anno? La ragazza accanto a me mi spintona e sono costretta a rimettermi al mio posto.

«Ah, eccole qui.»

La signora si rialza e tira fuori il pacchetto. Mi porge la mia merenda e dopo averle dato i soldi, mi faccio strada per uscire. Gli studenti che attendono in coda sono molti ma tra gli spintoni, riesco a raggiungere il corridoio. Appoggio la schiena al muro. Mi serve un attimo per riprendere fiato. Inspiro ed espiro. Non è poi così difficile. Altre persone convergono verso il bar e mi sposto il più velocemente possibile. Arrivo nell'atrio e giusto per cambiare, trovo la medesima confusione: ragazzi intenti ad accaparrarsi qualcosa al distributore automatico, donzelle vestite in modo bizzarro che spettegolano come suocere impiccione e sfilze di professori che discorrono sulle lezioni precedenti. Ignoro tutti e mi siedo su una delle panchine. Tengo lo zaino tra le gambe e mi metto a spiare alcuni ragazzi che fumano sotto il portico del giardino. Alcuni di loro li conosco anche se solo di vista. Sono più grandi e come tali, hanno un'aria beffarda che li circonda: si danno arie, si atteggiano in pose ribelli e fanno quello che tutti gli adolescenti fanno: si divertono. Sono investiti da una tale allegria che coinvolgerebbe chiunque.. eccetto me. Sospiro e mi appoggio al vetro della finestra. Delle volte, lo ammetto, desidero essere lì con loro, fumare una sigaretta in pace e conversare senza troppi pensieri. La verità però è che sono un'asociale, odio la compagnia di gente con così poca età mentale e preferisco stare per i conti miei. Qualcuno a questo punto comincerebbe a giudicare, un po' come fanno i miei genitori ma non conformarmi è una mia scelta, nessuno mi ha mai costretta. Mi sono sempre trovata più con le persone più grandi che con quelle della mia età. A loro non importa quanto sei più intelligente, bravo a scuola, oppure quanti sei popolare. Conta solo quanta testa hai. Per molti, di nuovo compresi mamma e papà, sono una sciocca a pensarla così ma che c'è di male a preferire sé stessi all'uomo comune? Come John Stuart Mill diceva: L'omologazione è il risultato della mediocrità della società. Apro il sacchetto delle patatine nel breve tempo che mi resta prima dell'inizio della quinta ora e comincio ad assaporare il profumo salato delle patatine. Con la coda dell'occhio noto qualcuno fermarsi dinanzi a me e rialzo il capo prima di assaporarne qualcuna.

La Squadra Del 2000Onde histórias criam vida. Descubra agora