Capitolo 32

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Ci siamo. La finale sarà esattamente tra nove ore al palazzetto più imponente della provincia. Tutte le giocatrici di pallavolo sin da piccole, sognano di giocare lì e non ci credo che sto per farlo davvero. Esco da camera mia saltellando. Non sto nella pelle, si capisce, no? Vado in cucina per fare colazione ma appena scendo le scale noto dei vestiti sparsi lungo i gradini. Magliette, calze, pantaloni, tutto gettato alla rinfusa sul pavimento. Raggiungo il soggiorno e vedo delle valigie appoggiate al divano. Le fisso incredula mentre mia madre arriva con altri indumenti tra le mani.

«Che stai facendo?» Domando. «Stai partendo?»

«Raggiungo tuo padre.» risponde lei con lo sguardo fisso sulle valigie. «Gli serve una mano col lavoro e gli ho detto che sarei andata io ad aiutarlo.»

«Papà sta tornando per la partita. È impossibile che te lo abbia chiesto.»

Serro i pugni. Le mie unghie spingono per penetrare la pelle. Trattengo il fiato. Rilasso le dita e conto i miei respiri per ritrovare la calma.

«L'azienda ha bisogno di almeno un supervisore sul posto.» Continua mia madre mentre il panico mi lascia andare dando spazio alla rabbia. «Mi dispiace tesoro ma si tratta di lavoro. Sai come funziona.»

«No, non è lavoro. È solo un pretesto per non doverci essere questa sera!»

Mia madre alza le spalle e continua a trascinare le valige verso la porta.

«Credevo che dopo la semifinale fosse cambiato qualcosa.» dico seguendo ogni sua mossa senza che lei mi calcoli. «Mi avevi detto che ci avresti pensato e io credevo proprio che a questo punto fossi pronta!»

«Sbagliavi. Prendo il treno tra poco. Ormai ho deciso.»

«Mamma, non puoi farlo. Non adesso, ti prego!»

Non si ferma e corro per convincerla a ripensarci. Le afferro il braccio ma il suo sguardo freddo mi impedisce di compiere un altro passo.

«Ora, basta!» dice. «Non verrò alla partita. Ho chiuso con la pallavolo, col passato, con tutto. Non voglio più sentirne parlare!»

«Mamma, ti prego.»

«No, Lex. Ne ho davvero abbastanza!»

Solleva le valigie e non indugia un secondo di più. Resto immobile. Non vado da lei, non provo nemmeno a fermarla. Non ci riesco. Mamma apre la porta e scoppio a piangere. È finita, dopo tutti gli sforzi, è stato tutto inutile. Aspetto che se ne vada, che scompaia con la sua macchina. Mi convinco a rialzare lo sguardo ma con mia sorpresa, la vedo. È ferma, sulla porta. Mi avvicino asciugandomi le guance. Una donna con gli occhi lucidi, vestita elegante, sta in piedi sui nostri gradini all'ingresso a fissare mia madre in silenzio. Dominic compare dietro di lei e mi rassicura con un'occhiata.

«Ciao, Riley.»

Cassidy le si avvicina tenendo stretta la sua borsa.

«Ti va di farmi entrare?»

Mamma non risponde. Non vedo il suo volto ma immagino sia pallido, un po' come quello che aveva alla semifinale. Ogni volta che il passato bussa alla porta, assume più o meno la medesima espressione. Mia madre si sposta e Cassidy entra e si accomoda sul divano. La guardo incredula e zio Dominic mi si avvicina con aria trionfante.

«Come l'hai convinta?» Domando riuscendo a malapena a scandire le parole. Lui accenna ad un sorriso.

«Con un po' di gentilezza, comprensione ed una buona dose di fascino.»

Certo, era ovvio. Ridacchia e torno a fissare mia madre che si siede accanto a Cassidy.

«Cosa ci fai qui?» sussurra con la voce che potrebbe spezzarsi da un momento all'altro. "Cassy..»

«Mi ha chiamata Dominic. Noi due dobbiamo parlare.»

Cassidy appoggia la borsa prendendole le mani.

«Noi dobbiamo andarci.»

«Dove?»

"Alla partita di tua figlia.»

«No, io non posso.»

«Alexandra ha bisogno di noi. Fallo per lei.»

«Credi non ci abbia provato? Per anni ho deluso mia figlia e ho inventato scuse perché non ero in grado di dirle la verità. Ho combattuto per farlo e ogni giorno, quando mi guardava, il dolore mi divorava. Ginevra mi manca e quando Lex mi ha domandato della finale, sono andata nel panico perché è il déjà-vu che ho cercato di evitare da quando si è iscritta a pallavolo. Mi dispiace ma non posso guardarla fare gli stessi passi di mia sorella.»

«Invece lo farai, perché Alexandra non è Ginevra, Riley. Prima o poi dovrai accettarlo.»

«Lei è mia figlia! Se dovesse succedere.. Io non ce la posso fare, non di nuovo!»

Cassidy sospira e tira fuori l'ultimo biglietto preparato da Christopher.

«Non succederà, Riley. Non lo capisci? Le cose sono diverse dal 2000. Non stiamo vivendo un déjà-vu ma la possibilità di rendere migliori i ricordi che abbiamo di quel giorno. Perdere Ginevra è stato difficile ma ora sei pronta per affrontarlo. Entrambe lo siamo.»

Stringe la mano di mia madre e le passa l'invito.

«Io sarò al tuo fianco ad ogni passo e ti terrò per mano ad ogni singolo punto.» Continua. «Saremo lì insieme e Ginevra sarà lì con noi. In fondo sai che è sempre stata qui a vegliare su di noi aspettando il momento in cui saremmo state capaci di lasciarla andare.»

«Perché lo stai facendo?» La interrompe mia madre singhiozzando. «Non ti ho mai chiamata o cercata. Eravamo amiche e sono sparita. Dovresti essere quanto meno infuriata con me.»

«Come una persona mi ha ricordato, non abbiamo tempo per portare rancore. Dobbiamo accogliere l'esperienza, elaborarla e farla nostra. È possibile, ora ci credo anche io.»

«Ma Ginevra non..»

«Lei vorrebbe che fossimo in pace con noi stesse. Sai cosa direbbe se ci vedesse adesso?»

«Che siamo delle complete idiote.»

Sorridono e l'atmosfera si fa più calma.

«Tu vuoi andarci davvero?»

«Ho fatto una promessa.» Cassidy si volta un attimo verso di me. «È ora che seppellisca il passato e accolga il futuro che mi aspetta. Merito la pace Riley, come la meriti tu.»

Mia madre si volta e i suoi occhi non trattengono le lacrime. All'inizio tremo nel vederla così ma poi tutto diventa leggero, senza più alcuna preoccupazione. Mia madre accetta la proposta agitando il capo e scoppia a piangere. Cassidy la stringe a sé abbracciandola mentre il suo sguardo incrocia il mio con un sorriso.

La Squadra Del 2000Where stories live. Discover now