Capitolo 9

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Vado al parco vicino a casa. La gente che abita qui è solita definirli "giardinetti gialli" per via di un grande scivolo al centro dell'area giochi del medesimo colore. Da bambina ci venivo a giocare con le mie amiche o a fare due tiri con la palla per allenarmi. È un posto tranquillo e l'ideale per riflettere. Attraverso il prato che pullula di fiori e api. Mi faccio strada tra l'erba alta e raggiungo l'altalena accanto allo scivolo. È prima mattina e il parco è deserto. Mi guardò intorno per assicurarmene e mi siedo cominciando a dondolarmi col piede. Stringo le catenelle e chiudo gli occhi. L'aria ha un sapore diverso. Forse sono i ciliegi o semplicemente io la percepisco diversa. Assaporo il vento sulla mia pelle e i suo attorcigliarsi ai miei capelli. La sua forza mi culla e la mia mente si schiarisce. Allento la spinta con le gambe e l'altalena rallenta la sua corsa. Tocco terra e riapro gli occhi. Una signora col cane mi passa davanti guardandomi come fossi pazza e se ne va borbottando. Forse se le persone si facessero di più gli affari loro, il mondo sarebbe un luogo migliore. Mi alzo e vado a sedermi su una panchina. Tiro fuori la lettera e continuo a leggerla:

«C'è una cosa che devi sapere, qualcosa che mi sono tenuta dentro troppo a lungo e che non posso più nascondere.

Tanti anni fa, ero una giocatrice di pallavolo o meglio, lo sono ancora. Questo sport ti riempie a tal punto il cuore che è impossibile che una parte di te non lo porti con sé per tutta la vita. È come se avessi un fuoco dentro, una passione che non svanisce solo perché dopo un po' sei costretta ad abbandonarla. Comunque, anni fa ero vicinissima a coronare quei sogni che per una giovane giocatrice a quell'età, come immaginerai, sono tutto. Eravamo in testa al girone, abbiamo passato la semifinale e siamo arrivate lì, pronte per giocare la finale. Ricordo quant'ero ansiosa di infilarmi la divisa, di battere la prima battuta, di sentire il fischio dell'ultimo punto e di godermi la vittoria con la squadra e la famiglia. Insomma, la sera prima dell'evento avevo progettato tutto.

Le cose però andarono diversamente. Probabilmente già lo avrai sentito quando leggerai queste parole o forse no. In ogni caso sono qui per raccontarti un segreto, qualcosa che chi sa, ha conservato gelosamente su mia richiesta in attesa che io fossi la prima a parlartene una volta cresciuta.

Adesso che ti guardo fare il tuo primo respiro, battere le palpebre e sbadigliare tra le mie braccia (perché sei sempre stanca), capisco di non voler più aspettare. Lex, mio dolce amore, è il momento che ti racconti cos'è successo il 20 maggio del 2000.

La lettera che si stava pian piano facendo interessante, mi sfugge di mano. Il vento la solleva in aria e se la porta via. Mi alzo e la inseguo nel tentativo di acciuffarla. Oltrepasso le altre panchine fino al prato dove si stagliano tre pini giganteschi. La lettera continua a fluttuare finché si incastra tra i rami di uno degli alberi. Mi allungo ma la mia mano non ci arriva. Sbuffo e ci riprovo. Nulla. Spicco un salto ma finisco per terra per aver esagerato con lo slancio. Mi metto le mani tra i capelli. La lettera è troppo importante e non posso assolutamente perderla. Mi rialzo e ritento. Prima che mi arrampichi, il foglio viene trascinato via di nuovo.

«Non ci posso credere!»

Ricomincio a correre. La lettera è a qualche metro sopra la mia testa. Salto ma le mie mani tornano senza di essa. Una folata di vento la riporta poi alla mia portata e non mi faccio scappare l'occasione. Mi preparo a saltare ma il foglio d'improvviso viene bloccato. Una mano più alta di me l'ha colta catturandola. Riabbasso lo sguardo e mi ritrovo un ragazzo dinanzi a me. Ha la pelle chiara, i capelli scuri e gli occhi castani. Ha un volto familiare ma talmente comune che fatico a capire dove l'ho già visto. Il ragazzo di avvicina e sventola la lettera davanti alla mia faccia sfoderando un sorriso.

«Alexandra, giusto?»

Acconsento col capo mentre il più gentilmente possibile cerco di prendere la lettera.

«Sì, sono io. Tu saresti?»

«Come, non lo sai?»

«Sfortunatamente no.»

Il ragazzo si sistema il berretto da tennis che tiene rivolto al contrario e mima un inchino.

«Mi chiamo Nathan Fossati ma molti mi chiamano Fox o Nat. Gioco nella tua stessa società anche se in prima divisione nonostante abbia la tua età.»

«Ah, strano, non ti ho mai visto.»

Lui fa una smorfia. Probabilmente non si aspettava tale risposta. In effetti ora che lo osservo meglio, ha un po' l'aria di quel classico bad-boy tipico dei romanzi rosa o delle serie TV strappalacrime che piacciono a tutte le ragazze del mondo.. Eccetto me. Mi sforzo di sorridere e lo invito a restituirmi la lettera.

«Che dici, puoi ridarmela?»

Lui me la porge con garbo senza farsi pregare. Repentina la infilo nella tasca, confusa dall'inaspettata gentilezza. Focalizzo il suo volto e mi accorgo che in effetti, l'ho già visto. Penso di aver incrociato il suo sguardo il giorno in cui mi sono iscritta alla nostra società sportiva e mi sono accorta che c'era anche la squadra maschile. Lui stava in fondo, nascosto dai suoi compagni che cercava di vedere chi stesse parlando con la Pres. In effetti, non è poi il classico bad-boy.

«Grazie.» Farfuglio pronta ad andarmene. «Ci si vede in palestra o ai soliti raduni della società.»

«Tu abiti qui?»

«Potrei farti la stessa domanda.»

Ribatto sfoderando un ghigno di sfida.

«Certo che abito qui.»

Nathan mi indica una casa accanto al campo di grano che sta vicino ai giardini ma fingo di non vederla e continua a cercarla. Alla fine alzo le spalle e sorrido.

«In un giardino pubblico? Dove tieni la tua tenda?»

Ridacchio e lui sorride a sua volta.

«Se fosse così, scommetto che ti piacerebbe poterci dare un'occhiata.»

Le mie guance si tingono di rosso e nascondo la mia faccia sotto i capelli.

«Adesso devo proprio andare. Ci si vede.»

La Squadra Del 2000Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang