Capitolo 7

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Lascio cadere il foglio. Il cuore comincia a battermi e l'ansia mi assale. Perché c'è una lettera per me? Cosa cavolo significa? Mi tengo la maglia cercando di respirare. Non lo saprò mai se mi faccio prendere dal panico. Socchiudo gli occhi. Ok, ci sono. Riprendo la busta. Noto un foglietto allegato rimasto attaccato al fondo. Lo apro. La scrittura è fine e minuscola che faccio fatica a decifrarla. È un elenco, un elenco di nomi. Li leggo con attenzione dal primo fino all'ultimo. A discapito di quanto mi aspettavo, molti li conosco. C'è quello di mio zio Dominic, dell'allenatore Andrea Brovies e della nipote della Pres, Lucrezia. Gli altri sono sconosciuti ma sono dei più differenti: Christopher, Iris, Cassidy..

«Tesoro dove sei? Ti sei persa?»

Mia madre mi chiama e d'istinto nascondo la lettera sotto la maglia.

«No, no. Sto arrivando.»

«Sbrigati che si raffredda!»

Resto immobile, incapace di muovermi. Premo la maglia dov'è nascosta la lettera. Aspetto. Non sento dei passi. Mia madre non sta salendo a cercarmi. Sospiro sollevata. Risistemo le cose nella scatola e la rimetto dove l'ho trovata. Riposiziono il quadro inclinandolo nella maniera in cui l'ho trovato. Prendo alcune foto che ho lasciato da parte e le infilo nelle tasche assieme all'elenco di nomi e alla lettera. Mi serve vederli con più calma. Vado in camera e metto tutto nel cassetto. Ci infilo anche dei libri per nasconderli ulteriormente e torno in cucina da mia madre. Fingo di legarmi i capelli per non destare sospetti.

«Scusa, stavo rispondendo a Robin. Domani abbiamo una ricerca da fare insieme e voleva alcune dritte.»

Farfuglio sedendomi a tavola.

«Tranquilla, la scuola ha sicuramente la precedenza.»

La scuola ha la precedenza sul cibo? Sta scherzando, non dice sul serio.. Vero? La porta del seminterrato si apre e Dominic appare con la sua solita eleganza. Viene in cucina per prendere della frutta ma non si sofferma. Lo osservo mentre sorride a mia madre e se ne va per chiudersi in camera sua. Neanche un ciao o la buona notte. D'accordo, forse pretendo troppo ma lo fa sempre e non gli costa nemmeno molto. Stasera però è talmente nervoso da sembrare un estraneo. Abbasso lo sguardo sulla pasta. Passo la forchetta tra gli spaghetti ma invece che crescermi la fame, la nausea si appropria di me. Lascio cadere le posate prendendo il tovagliolo. Il mio appetito si è decisamente sfumato.

«Tutto bene tesoro?» Domanda mia madre vedendo che non mangio.

«Sì, mi è solo passata la voglia di pasta scaldata al microonde.»

Alzo le spalle ma non se la beve. Si siede spostando il piatto e guardandomi come se dovesse interrogarmi.

«Cosa succede? Ti comporti in maniera strana da quando sei tornata dagli allenamenti.»

«Sto solo cercando di non badare al fatto che mio zio è nuovamente di cattivo umore.»

«Chissà perché dubito si tratti di questo.»

«Mi pare ovvio.»

Mi arrendo lasciando cadere le braccia sul tavolo.

«Tra due settimane ci sarà la finale e in palestra non fanno altro che parlare delle persone che inviteranno e di come anche zii e cugini saranno presenti.»

«È normale, è un evento importante.»

«Che dovrò affrontare da sola come al solito.»

«Non sarai sola, ci sarà Dominic con te.»

«Io non voglio lui. Voglio te!»

Mia madre sospira prendendomi la mano.

«Sai che sono impegnata col lavoro ora che tuo padre è all'estero.»

«Non so se potrò farcela senza di te.»

«Non devi avere nulla da temere. La finale è una partita come le altre solo con una coppa in gioco e tanti tifosi con le trombette e gli striscioni.»

«E i genitori delle atlete a sostenerle.»

Mamma annuisce distogliendo lo sguardo. Si alza e ripone la tazzina del caffè nel lavandino. Sciacqua le stoviglie e sistema la cucina. Prima che se ne vada però le prendo la mano.

«Ti prego, vieni alla partita. È importante per me che tu ci sia.»

«Non lo so Lex.»

«Ti prego.»

Lei non risponde e lascia la mia mano. Sospira e si dilegua scomparendo dietro le scale. Mi metto le mani in faccia cercando di non piangere. So bene che il suo "non lo so" automaticamente significa "no" e mi spezza il cuore. Una finale di campionato dovrebbe essere il giorno più importante nella vita di una giocatrice. Dovrebbe essere il coronamento di un sogno, di un percorso difficile e di allenamenti che stanno per dare i loro frutti. Non riesco ad immaginarmela senza di lei al mio fianco. Mi alzo. Faccio avanti e indietro per la cucina tenendomi la testa. Vorrei gridare ma tutto si reprime. No, non ce la faccio più. Butto la pasta nel sacchetto dell'umido e lancio il piatto nel lavandino. Per pura grazia divina non si rompe e ritorno in camera mia. Salgo svelta le scale. Ancora buio. Le porte delle altre stanze sono chiuse. Mi mordo il labbro e chiudo anche la mia. Mi metto sotto le coperte e guardo il soffitto. Lo faccio ogni sera prima di dormire. Osservo il bianco della parete come potesse darmi la soluzione ai miei problemi. Solitamente aiuta, oggi è solo bianco. Mi giro per spegnere la luce. Chiudo gli occhi. Non ci riesco. Mi rigiro. Mi copro il volto col cuscino. Niente. Lo lancio in fondo al letto e vado al cassetto ove ho messo il materiale che ho rubato dalla cassaforte. Lo apro e mi sbarazzo dei libri di copertura. Indugio ma alla fine prendo tutto e lo metto sul letto. Le foto sono tutte della finale. Mia madre ha un sorriso quasi insolito. Credo di non averla mai vista sorridere così. Ginevra appare in poche di loro ma ne trovo una significativa. È un primo piano e raccoglie tutta la sua essenza. Mi copro la bocca cominciando a sussultare. Le crisi di pianto arrivano dal nulla. Basta che qualcosa mi sfiori e crollo in un attimo. Mi asciugo gli occhi e prendo la lettera. La apro e continuo a leggerla:

«Mia dolce creatura, è difficile rimettere insieme i pezzi tutti in una volta ma sento di doverlo fare così, per te, alla vecchia maniera e oggi, in un giorno tanto importante..»

La Squadra Del 2000Where stories live. Discover now