Capitolo 11

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«Mio zio mi ha dato il numero dell'allenatore che ha tenuto la conferenza dell'altro giorno. Volevo avvisarti che al più presto lo contatterò. Per ora, però, ho intenzione di concentrarmi sulla partita di domani. Voglio dormire abbastanza da recuperare le energie e svegliarmi pronta al cento per cento. Buona notte.»

Tolgo il dito dall'icona del registratore e lascio il messaggio vocale a Robin. Sbadiglio e cerco il carica batterie per mettere in carica il telefono. Appena sento la vibrazione che mi avvisa che sta caricando, mi infilo il pigiama e guardo il bigliettino di mio zio. La sua calligrafia è perfetta, senza una virgola di sbavatura. Rileggo le cifre trascritte che mi lasciano col respiro in gola. Vorrei prendere all'istante il telefono e fare quella telefonata, sono sicura che il coach risponderebbe nonostante l'orario. Respiro e nonostante l'entusiasmo, tento di non farmi prendere dalla fretta. Quei piccoli numeri sono la mia unica possibilità di avere qualche informazione in più sul passato di mia madre e non posso sprecare l'occasione. Metto il biglietto nel portafoglio e mi accoccolo tra le coperte. Mi giro e mi rigiro. Non riesco a non pensarci. Alzo la testa dal letto. Il portafoglio è sul comodino. No, non adesso. Afferro il cuscino e me lo appoggio sulla fronte. L'odore dell'ammorbidente alla vaniglia che mia madre usa per lavare le federe, mi aiuta ad allontanarmi dai miei pensieri. Uno, due, continuo a contare. Sto per perdermi nel sonno quando il telefono comincia a vibrare. Scosto le coperte e raggiungo con la mano il cassetto del comodino. Sullo schermo del cellulare vedo comparire il numero di Robin e rispondo.

«Pronto?»

«Pensavi davvero di cavartela così?»

Sbadiglio e mi sfrego le palpebre per evitare di perdermi quello che la sua voce squillante cerca di inculcarmi in testa.

«Come dici?»

«Un misero messaggio vocale non può bastare, cavolo Lex!»

«Mi hai detto di avvisare e l'ho fatto.»

«Ok, dimmi tutto prima che irrompa a casa tua a quest'ora e ti faccia vedere io!»

«Va bene, calmati!»

Mi accovaccio sul letto e sollevo la coperta coi fiori. Appoggio il telefono all'orecchio mentre mi siedo e mi sistemo il pigiama. I respiri irregolari di Robin, che non trattiene la curiosità, battono contro la mia guancia. Stando ad ascoltarli attraverso il telefono sembra quasi che stia ansimando.

«A quanto pare mio zio Dominic ha deciso di collaborare.» dico trattenendo l'ennesimo sbadiglio. «Ne abbiamo parlato e alla fine mi ha lasciato il modo di contattare il primo nome della lista che ha compilato mia madre. Si tratta di Andrea Brovies, l'allenatore dell'incontro. Credo che dopo la partita, chiederò di vederlo.»

«Per domandargli informazioni sulle vicende del 2000? Non potevamo chiederglielo a lezione oppure cercarlo semplicemente su un sito internet invece di andare a disturbare tuo zio?»

«Hai perfettamente ragione, Robin, ma non è questo il punto. Ho interpellato mio zio per vedere se sarebbe stato disposto ad aiutarmi. Ci ha messo un po' per farlo ma il fatto che abbia ceduto, significa che ancora non ha chiuso con questa storia, capisci? Non so perché ma sento di dover fare qualcosa e subito..»

La porta scricchiola. Intravedo l'ombra di mia madre che sale le scale e abbasso la voce.

«Aspetta, c'è mia madre. Ci sentiamo tra un attimo, tu resta in linea.»

«Cosa?»

Robin brontola e io metto giù il telefono. Scendo dal letto e infilo le pantofole andando a cercare mia madre. La seguo finché non entra in camera sua. Apro la porta e la trovo già sotto le coperte col pigiama e i capelli sciolti che le scendono lungo le spalle. Ha tra le mani un libro ma appena mi nota, rimette giù gli occhiali.

«Credevo fossi già a letto tesoro.» sospira lei con un velo di sorpresa. «Domani non devi svegliarti presto?»

«Lo so. Ero a letto ma poi ti ho vista e ho pensato che avremmo potuto parlare.»

«A proposito di cosa?»

Resto in silenzio e lei mi fa cenno di mettermi vicino.

«Non c'è un modo semplice per dirlo.» Farfuglio lottando con me stessa per non mangiarmi le parole. «Vorrei che domani provassi a venire alla partita. Mi piacerebbe che entrassi in palestra e che ti sedessi sugli spalti anche se non riuscissi a restare a vedere tutto il gioco. Desidero solo che per una volta tu fossi lassù, per me, assieme gli altri genitori a sostenerci.»

«Lo sai che non posso. Ogni volta che entro in una palestra, mi manca l'aria.»

La mia mano comincia a tremare e prendo le sue per alleviare i brividi.

«Mamma, ti supplico, questa è un'occasione irripetibile. Stiamo per vincere il campionato e non posso farlo senza di te.»

«Tesoro, lo hai fatto fino ad adesso e continuerai a farlo anche senza di me. Non serve che io venga.»

«Non capisci, questa volta è diverso!»

Respiro profondamente tentando di non perdere nuovamente la calma.

«È la semifinale. Se vinciamo potrò prendere quella dannata medaglia d'oro per la prima volta nella mia vita e diventare campionessa della provincia proprio come hai fatto tu sedici anni fa.»

«Fermati, Lex. A cosa ti riferisci? Io non ho fatto nulla e non so davvero da chi l'hai sentita questa storia.»

«Mamma, so che giocavi a pallavolo, la Pres me lo ha detto. Ho fatto delle ricerche dato che all'inizio non ci credevo, e ho scoperto la verità. So che mia zia Ginevra è morta al termine della vostra finale sedici anni fa e che tu da allora vivi al di fuori dal mondo della pallavolo. Capisco cosa provi e sono conscia del fatto di chiederti molto. Rivivere tutte quelle emozioni non deve essere facile ma domani ho bisogno che tu faccia questo sforzo.»

«Lex, io, non posso, lo sai..»

«Non ti chiedo molto. Accompagnami alla partita assieme allo zio e decidi quando o se entrare. Niente giudizi, commenti o pressione. Io sarò solo dentro ad aspettarti.»

Mi rialzo e lascio la camera senza che lei possa darmi una risposta. Forse non voglio nemmeno sapere se ci proverà o no e mi limito a sperarci. Le auguro la buona notte e spengo la luce. Ritorno in camera e prendo il telefono dal letto. Robin è ancora in linea.

«Pronto Robin, ci sei?»

Aspetto qualche secondo. Sento delle strane vibrazioni ma alla fine ricompare la sua voce squillante.

«Sì, ci sono. Tutto a posto?»

«Certo, dove eravamo rimaste?»

La Squadra Del 2000Where stories live. Discover now