Capitolo 14

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La partita finisce. Tutte le mie compagne corrono in campo ad esultare. La vittoria ci assicura la finale di campionato; eppure, io mi sento più triste che mai. Anche Max e il secondo allenatore si uniscono in quella corsa di saltelli fino alla linea di bordo campo. Io resto seduta, senza avere la forza di alzarmi. Non percepisco nemmeno un briciolo dell'entusiasmo che avvolge il gruppo. Il mondo non si è colorato d'oro come avrebbe dovuto anzi, mi è crollato addosso. L'arbitro fischia e sono costretta ad alzarmi. Zoppico fino alla linea dei tre metri col ghiaccio attaccato alla caviglia con dello scotch e mi posiziono in fondo alla fila. Saluto le avversarie e batto il cinque a Max. Le mie compagne prima di andare a fare stretching, accerchiano il nostro dirigente che tiene un sacchetto di caramelle apposta per noi. Non ho fame e io mi ritiro in un angolo in fondo alla palestra. Non ho voglia di cibo o di compagnia, nemmeno quella di Robin. Le mie compagne mi raggiungono parlando di chi inviteranno alla finale. Non ce la faccio più ad ascoltare e aspetto che tutti gli occhi si volgano altrove. Finito "lo scarico" come lo definiamo noi giocatrici, corro negli spogliatoi. Prendo i fazzoletti dalla felpa ma non riesco ad aprirli. L'unghia dell'indice si rompe e rigetto il pacchetto nella sacca. Mi rannicchio sulla panca ma sentendo le voci delle compagne avvicinarsi, scappo in bagno. Mi chiudo dentro a soffiarmi il naso con la carta igienica e piango. Mi siedo e tengo il capo con ambedue le mani non riuscendo a calmarmi.

«Oddio, non ce la faccio.»

Mi asciugo le lacrime con la maglia ma il mio cuore non rallenta. Mi sta strappando il fiato. Ansimo appoggiata al muro. Qualcuno bussa alla porta. Sobbalzo. Non chiedo chi sia. Non ho intenzione di rispondere a prescindere.

«Lex, sei qui?»

È Robin. Le mie labbra si contorcono e non parlo. Taccio, come se non ci fossi. Lei insiste continuando a picchiettare sulla porta del bagno.

«Dai Lex, esci. C'è la torta!»

Ti pare che me ne importi? Alla fine, dopo qualche minuto, Robin desiste e se ne va. Aspetto di sentire i suoi passi allontanarsi e la porta degli spogliatoi chiudersi. Mi rimetto a piangere. Perché per una volta le cose non possono andare come voglio? Cosa ho fatto, per meritarmi questo! Rimango in bagno finché anche tutte le mie compagne non se ne vanno. A quel punto prendo le mie cose. Le infilo alla rinfusa nel borsone ed esco. Le luci della palestra sono spente, le persone raggruppate nel cortile e le altre ragazze, della mia squadra e no, nell'ufficio della Pres. Mi asciugo le guance e salgo le scale senza raggiungerle. A cosa serve una vittoria se sento di aver perso? Resto immobile dinanzi alla porta antipanico. Le mani non riescono a spingerla.

«Lex.»

La Pres viene verso di me. Mi volto tenendo le braccia strette al petto.

«Tuo zio ha portato a casa tua madre.» Mi informa. «Sta tornando a prenderti.»

«Grazie, Pres.»

Tengo lo sguardo fisso a terra. Non voglio che veda che ho pianto.

«Le tue compagne ti hanno lasciato una fetta di torta.» continua la Pres. «Se ti va puoi venire nel mio ufficio e mangiarla. Ti faccio compagnia io.»

«Scusa, ma non mi va la torta o qualsiasi cosa dolce.»

La Pres non insiste e apre la porta al posto mio. Esco e mi lascio la palestra alle spalle. In cortile ci sono ancora le avversarie ma si stanno spostando in strada, dove ci sono le macchine. I loro volti, nonostante la sconfitta, sono più felici del mio. Mi siedo ad aspettare zio Dominic sui gradini all'ingresso della scuola e fisso l'orizzonte. È così vuoto, senza un briciolo di importanza. I miei occhi ricominciano a lacrimare. Socchiudo le palpebre e respiro. L'aria è amara e vorrei tanto non doverla più accogliere nei polmoni. Stringo il borsone sulle gambe e ricerco i fazzoletti per soffiarmi il naso. Le mie dita tremano e ancora una volta non riescono ad aprire il pacchetto.

«Dannazione!»

Lancio i fazzoletti per terra e li guardo rotolare continuando a piangere.

«Stai aspettando tuo zio?»

Nathan si siede accanto a me e mi asciugo velocemente le guance. Vedendo il pacchetto di fazzoletti, scende a recuperarlo e me lo porge.

«Stai bene?»

«No, ma adesso un po' meglio. Grazie.»

Rimetto i fazzoletti nel borsone e mi sfrego un'altra volta le guance.

«Come mai sei ancora qui?» Domando. "La partita è finita da un pezzo.»

«Mio padre sta parlando con Max e poi ti ho vista qui da sola. Ho pensato che potevo farti compagnia.»

«In realtà vorrei solo stare da sola. Non sono dell'umore.»

«Figurati, lo capisco.»

Mi da una pacca sulla spalla e si rialza. Scrive qualcosa su un pezzo di carta che teneva nella tasca e me lo mette tra le mani.

«Se cambiassi idea, questo è il mio numero. Ci si vede, campionessa.»

«Non lo sono ancora.»

«Vero, ma presto lo sarai, no?»

Mi saluta e torna dal padre. Lo fisso abbozzando un sorriso mentre scopare dietro le porte in palestra. Una parte di me avrebbe voluto che restasse, l'altra si ripete che è meglio così. Inspiro e vedo un auto avvicinarsi alla scuola. Mio zio scende e viene a cercarmi. Infilo il biglietto col numero di Nathan nella tasca e gli vado incontro. Appena mi nota, sospira.

«Perdonami.» mormora stanco. «Ho provato a convincerla ma è stato tutto inutile. Non ha voluto sentire ragioni.»

Acconsento col capo incapace di dire qualcosa. So che ha fatto il possibile ma mi fa comunque star male.

«Andiamo a casa?»

Dominic mi prende per mano. La stringo e lui cerca il mio sguardo ma io lo tengo basso. Non riuscirei a sopportare di doverlo guardare negli occhi. Apro la portiera ma lui mi ferma. La sua mano mi sfiora la spalla in una carezza. Basta solo quello a farmi scoppiare a piangere. Lui mi prende cingendomi a sé e io crollo tra le sue braccia.

«Andrà tutto bene, Lex.»

La Squadra Del 2000Where stories live. Discover now