Capitolo 6

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Appena esco vengo investita dall'aria fresca della notte primaverile. Il vento sfiora i miei capelli e mi accarezza le guance. Sento i brividi scorrere da una parte all'altra del corpo. È piacevole come sensazione. Mi stringo tra le braccia e guardo il cellulare. Sul gruppo della scuola continuano a scrivere di voler spostare le ultime verifiche dell'anno e rispondo che io non sono d'accordo. In meno di un minuto vengo tartassata di insulti e spengo il cellulare. Io e la mia classe non andiamo d'accordo. L'unica persona con cui ho legato è Robin, per il resto sono tutti ragazzi con cui spero di non aver più a che fare nella vita. Scorgo la macchina di mio zio coi lampeggianti accesi che posteggia davanti ai cancelli della palestra. Mi alzo e riprendo il borsone sulle spalle. Dominic mi aspetta col solito sguardo impassibile appoggiato al cofano dell'auto. Lo raggiungo e mi prende il borsone infilandolo nel baule. Mi siedo e lui mi raggiunge mettendosi al volante. Infilo le cuffie ma quando mi accorgo che mio zio ancora non è partito, le ripongo nella tasca. Lo guardo ma i suoi occhi mi evitano. Il suo volto è provato, costeggiato dalle occhiaie e le palpebre secche che vogliono a tutti i costi chiudersi.

«Tutto bene zio Dom?» Domando. Lui sospira più volte finché acconsente col capo.

«Certo, tutto a posto.»

«Non sembri convinto. Dai, che succede?»

Dominic si gratta la fronte. Cerco di smuoverlo ma lui si ricompone infilando le chiavi nel quadro.

«Niente che non si possa risolvere.» mormora e la macchina finalmente si avvia verso casa.

«Tu invece agli allenamenti? È andato tutto bene?»

«Sì, è andato tutto alla perfezione.» Mento. «Abbiamo fatto molti esercizi e provato gli schemi di gioco. Max vuole assicurarsi che siamo pronte per affrontare la semifinale.»

«Mi sembra giusto.»

Il suo telefono si illumina e sbircio sulla notifica. È di mia madre. Dominic appena se ne accorge, riprende il cellulare mettendolo in tasca.

«Tranquilla, avvisavo tua madre che stavamo tornando.»

«È a casa?»

«Sì, e ti ha preparato la cena.»

«Ottimo. Questa sera ho davvero un grande appetito.»

«Ci credo, dopo tutte le calorie che bruci agli allenamenti, è normale.»

Oddio, detesto mentirgli.

***

Le strade sono deserte. Si avverte un silenzio quasi completo se non fosse per il cigolio del mio borsone nel baule. Svoltiamo l'angolo e ci immettiamo nella via di casa. Riconosco la mia abitazione dalle luci a stella nel giardino. Le ho volute mettere io per quando rientro tardi dopo gli allenamenti così da non inciampare sui gradini dell'ingresso. Dominic posteggia in garage e avendo qualcosa da fare, mi fa cenno di non aspettarlo. Entro in casa e lascio il borsone accanto al divano. Mia madre è seduta sulla poltrona del soggiorno che legge un giornale esaminando le ultime notizie. Mi avvicino e quando mi nota, si alza riponendo gli occhiali sul tavolo. Le sue braccia si avvolgono al mio collo. Non sono sudata ma sento la fronte inumidirsi e le mani cominciare a tremare.

«Hai già fatto la doccia?»

Mia madre mi guarda perplessa mentre tasta la mia pelle.

«Di solito non la fai in palestra. Come mai oggi sì?»

Forza coraggio, una bugia semplice e poco articolata.

«Ero abbastanza provata e avevo voglia di lavarmi via la stanchezza il prima possibile.» farfuglio riacciuffando il borsone. «Comunque possiamo parlarne dopo? Adesso ho una gran fame.»

«Certo, figurati. Va a lavare le mani che io ti scaldo la pasta.»

«D'accordo. Torno tra un attimo.»

Salgo le scale e arrivo al secondo piano. Lancio il borsone che striscia fino alla porta della mia camera. Sento mia madre riprendermi ma evito di risponderle. So che il parquet si rovina ma sono troppo pigra per portarle direttamente nella mia stanza. Accendo la luce e passo davanti alle camere di mio zio e dei miei genitori. Mi affaccio a quest'ultima. È buia, con le persiane chiuse. Da quando mio padre è via per lavoro la trovo spoglia, vuota, come se le mancasse l'anima. Entro e vado ad aprire leggermente le persiane. Detesto che tutto qui sia così macabro. La luce della notte mi sfiora e assaporo il suo tocco. La storia della Pres è fissa nella mia mente, non riesco proprio a non pensarci.. Mi volto. Questa è la camera di mia madre perciò forse, qui c'è qualche prova della veridicità delle parole di Rossella. Come ho potuto non pensarci prima? Accosto la porta e mi precipito a curiosare. Butto gli occhi ovunque in cerca di qualsiasi cosa che possa confermare la storia. Mi serve qualche ricordo di Ginevra. Apro l'armadio e frugo nei cassetti. Niente. Guardo sotto il letto e tasto anche dove non vedo. Nulla nemmeno qui. Mi rialzo. Deve pur esserci qualcosa. L'attenzione cade su una delle pareti. Un quadro appeso accanto allo specchio è leggermente inclinato. Mi avvicino e noto una linguetta di cuoio che sporge. La tiro e qualcosa scricchiola. Forse ci sono. La tiro di nuovo e il quadro si sposta. Dietro di esso si nasconde una cassetta di sicurezza. Non è sigillata o protetta da password. La apro e prendo il contenuto. È una scatola pesante, piena di tantissime cose diverse. Le tiro fuori una ad una e le ripongo sul pavimento. Ci sono maglie da gioco, gadget e alcune medaglie. Due di queste ultime sono in una busta. Le tiro fuori e le studio con attenzione. Sono quelle della finale di cui mi raccontava Rossella. Le sposto in un angolo per non perderle di vista. Nella scatola colgo una pila di foto e sotto una busta. La tiro fuori. È ingiallita e rilegata con un francobollo blu a forma di fiore come quello dietro alle divise. La apro e la ispeziono in cerca del mittente. Nascosta in un angolo c'è il destinatario.

«Ma cosa..»

La lettera è per me. Estraggo il foglio. Riconosco la calligrafia di mia madre e la data della mia nascita.

«Cara Lex,» Leggo.

«Ho così tanti pensieri per la testa che non so se riuscirò a riassumerli in questa lettera. Farò uno sforzo perché voglio raccontarti una storia, quella della mia vita prima di te..»

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