Capitolo 22

106 75 3
                                    

«Non credevo che saremmo riusciti a convincerla e che soprattutto, avrebbe contattato lei la numero tredici Chiara Ghezzi per noi. È davvero surreale cosa non si fa quando ci si sente in colpa.»

«Già, ha sorpreso anche me.»

«Tu, Lucrezia, perché credi che abbia cambiato idea? A parte il rimorso, ovvio.»

«Non so se si trattasse di rimorso ma sicuramente ha inciso l'aver parlato con te. Era devota a Riley quasi più di me o Cassidy per quanto non possa averlo dato a vedere."

«Tu e lei avevate dei trascorsi?»

«Qualcuno, ma non roba seria. Non ho mai trovato Sara simpatica nemmeno quando giocavamo a pallavolo. Una volta, ad una partita amichevole, per via di uno screzio su una decisione dell'arbitro, ci siamo trovate a tirarci i capelli come delle bambine. Ricordo di averla afferrata, di averle strappato il codino e di averla quasi spinta contro la postazione dell'arbitro. Se non fosse stato per Ginevra che è piombata tra le due con la bandiera della pace come faceva sempre, (o per i cuscinetti che le hanno impedito di prendere una bella botta), ci saremmo di sicuro ammazzate, te lo dico io.»

«Da quello che ho capito, frequentavi la squadra di mia madre più di quanto frequentassi la tua. Come mai?»

«Erano un bel gruppo, coi suoi alti e bassi, ma davvero una bella squadra. Tutta la provincia le ammirava ma la verità era che a tenerle assieme era proprio Ginevra. Io ne ero affascinata e probabilmente mi sarei unita a loro l'anno successivo. Poi però c'è stato il funerale e la squadra è stata sciolta.»

Io e Lucrezia ci sediamo sul marciapiede dinanzi alla palestra. Dominic è in ritardo per venirmi a prendere e così resta lei a farmi compagnia. Robin e Nathan si avviano verso le macchine dove i genitori li aspettano e restiamo da sole sotto le luci della notte.

«Cosa hai raccontato a Dominic per farlo venire a prenderti?» Mi domanda Lucrezia giocherellando con le chiavi della sua auto.

«Allenamento straordinario. Non so se ci ha creduto ma era l'unica scusa che mi sembrava credibile.»

«Dominic è sempre stato sveglio, intelligente ma spesso si lascia fregare quando è sotto stress. Io me lo ricordo all'epoca e anche allora era un po' troppo sveglio proprio come sua sorella oppure come sua nipote.»

Sorride ed io non posso fare a meno di fare lo stesso.

«Posso farti una domanda?» Chiedo e lei acconsente col capo.

«Dimmi, pure.»

«Perché ci tieni tanto a dare una mano? Insomma, eri amica di mia madre ma lei non si è fatta sentire per anni. Insomma, come fai a non essere arrabbiata?»

«La rabbia dura solo un secondo. Vedi Lex, certe volte le cose non vanno come vorresti e puoi scegliere di prendertela , di arrabbiarti, di scaricare tutte quelle emozioni su qualcuno. Oppure di perdonare. Non sono mai stata il genere di persona che si aspetta qualcosa dalla gente. Sai, mio padre è originario del Guatemala e la gente mi ha sempre vista con sospetto, come fossi un intrusa in una società perfetta. Io da bambina ci davo peso ma grazie a tua madre e a sua sorella, quel pensiero non è più apparso nella mia mente. Hanno sempre visto oltre l'aspetto fisico o il carattere di una persona. Vedevano sempre e solo il potenziale. Devo ad entrambe la vita che ho adesso e per tale motivo, perdonare Riley non è stato difficile.»

Il vento comincia a soffiare e mi stringo tra le braccia. Non ho il coraggio di dirle che ho freddo per paura che la conversazione possa bloccarsi.

«Comunque volevo ringraziarti.» Le dico ricalcando quanto sia importante il suo contributo. "Senza di te e Christopher non so dove saremo.»

«Lo faccio volentieri. Aspetto questa occasione da sedici anni ormai.»

Mi guarda e mi sfiora la pelle tremante.

«Hai freddo, vero?»

«Un po'.»

«Se vuoi aspettiamo tuo zio dentro in palestra. Ho le chiavi.»

Acconsento col capo e Lucrezia mi fa cenno di seguirla. Apriamo la porta laterale ed entriamo in palestra. È strano camminare in questo posto senza le luci accese, il rumore dei ragazzi che giocano o i genitori che chiacchierano accanto ai distributori automatici nell'attesa di portare a casa i figli. Lucrezia mi precede e ci sediamo sui gradoni degli spalti. Guardo il campo vuoto. Vige una tale quiete da rendere l'intero luogo inquietante.

«Domani non ci sarò.» mormora Lucrezia mettendo le chiavi nella borsa. "Christopher non è riuscito a contattare Cassidy e magari posso dargli una mano a rintracciarla.»

«Sei sicura di non voler venire? Pensavo volessi essere presente ad ogni incontro.»

«In effetti sì, ma ahimè devo assicurarmi anche che tutto vada a buon fine e poi sono sicura che ve la caverete bene anche senza di me.»

«Noi non abbiamo la stessa capacità di convincimento che hai tu.»

«Avete il cuore e questo basta. Voi ragazzi siete preoccuparti di fare sempre di più per soddisfare i bisogni della famiglia oppure di voi stessi. Non vi rendete conto però, di quanto sia fondamentale anche solo il vostro contributo per quanto possa essere piccolo. Pertanto, non ho dubbi che avrete successo anche senza di me.»

«Lo spero davvero.»

Lucrezia mi cinge le spalle e mi lascio abbracciare. La sua collana fredda col crocifisso mi sfiora la fronte e sento un brivido percorrermi fino alla schiena. Il mio telefono comincia a vibrare e vedo un messaggio di mio zio.

«Vai pure. Qui ci penso io.»

Mi rialzo ma Lucrezia resta seduta a fissare il capo. Cerco di capire cosa attiri i suoi occhi e noto il riflesso della luna penetrare lungo il campo. Forma una lunetta proprio accanto alla zona dove solitamente, transita il palleggiatore. Per un attimo vedo mia zia che allegra si prepara a servire la palla a mia madre che prende la rincorsa in posto quattro. In quel momento mi accorgo di quanto io e Robin siamo simili a lei e Ginevra.

La Squadra Del 2000Where stories live. Discover now