46. Under the stars ☆

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"All'alba ti dichiarerò il mio amore
così che anche il sole
sappia quanto ti amo".

P.D

Kevin parcheggiò la moto sul lungomare. Era l'una di notte, ma i locali brulicavano di gente, ognuno aveva il suo piano bar e i tavoli erano ricoperti di bicchieri mezzi vuoti.

Alcuni ragazzi ballavano e cantavano al ritmo di musica, altri bevevano e fumavano, altri ancora parlavano e ridevano, scatenando un brusio di voci che si confondeva con il rumore placido del mare.

La spiaggia però era vuota.

Era ancora troppo presto per i bagni notturni e per i falò estivi.

Il cielo era sereno e punteggiato di stelle, ma la luna ne oscurava il chiarore e si rifletteva sull'acqua, creando un contrasto scintillante sulle increspature di quel mantello di velluto nero.

La brezza fresca smuoveva le corde profonde della materia, trasportando la salsedine oltre la linea dell'orizzonte.

Kevin mi prese per mano e scendemmo i gradini di pietra che portavano sulla spiaggia.

Lì era tutto così tranquillo, l'opposto del frastuono che rimbombava sul lungomare.

C'era soltanto qualche coppietta che si era appartata per amoreggiare e un gruppo di ragazzi poco distante.
Avevano in mano una sigaretta che si passavano a vicenda e, dall'odore, si deduceva facilmente che stessero fumando uno spinello.

Io e Kevin andammo più avanti, coccolati dal rumoreggiare del mare sulla battigia, fino a quando arrivammo nei dintorni di una villetta, dove l'estate, i proprietari, soggiornavano l'intera stagione.
La villa dava direttamente accesso alla spiaggia per mezzo di una piccola scalinata che conduceva ad una porta-finestra oscurata dalla tende.

Ci sedemmo ad uno dei gradini e mi accoccolai sulla sua spalla.

Era tutto così sereno, le stelle che brillavano in lontananza, il rumore del suo respiro nel cuore, la musica di uno dei piano bar che echeggiava nell'aria.

Mi sentivo in pace con me stessa, tranquilla e protetta da quelle braccia che mi stringevano possessive.

Amavo il modo in cui mi abbracciava, mi faceva sentire al sicuro, creava una barriera invalicabile contro il mondo, impedendo l'accesso al male.

"A cosa stai pensando?" mi domandò, spezzando il silenzio.

Kevin non era un tipo di molte parole, al contrario, viveva di silenzi e cose non dette.

La sua voce erano gli occhi.

Il suo sguardo aveva la forza di scalfire una roccia, di ridurla in brandelli.

Per questo la sua domanda mi sorprese.

"Stavo pensando... a te" risposi, sincera.

Lui sorrise, poi si chinò, lasciandomi un bacio sui capelli.

"E tu?" domandai dopo un po', sollevando il viso verso il suo.

Sorrise ancora, perverso, prima di fiondarsi sulle mie labbra.

Quella bocca cancellò ogni pensiero, catapultandomi su un pianeta lontano, in un mondo dove esistevano soltanto baci come quello.

UCCIDIMI DOLCEMENTEWhere stories live. Discover now