6 Emily

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Cassandra sembra stupita quando Theo le offre il suo aiuto a sparecchiare la tavola. Lui fa avanti e indietro portandole i piatti sporchi, mentre lei carica la lavastoviglie.

Con l'aiuto di mamma e con qualche mio consiglio, Cassandra ha preparato anche un'immensa varietà di dolci posizionata sul tavolo da caffè in salotto. Io gli ho solo detto di preparare, se aveva avuto ancora tempo, anche la torta la cioccolato preferita di suo figlio. Ovviamente lo ha accontentato, e proprio in questo momento si sta ingozzando con una fetta in entrambe le mani.

Papà, mamma e John sono seduti sul divano, Daniel sulla poltrona di fianco mentre Ryan e Abby non so dove sono spariti.

Io mi sono appoggiata allo stipite della porta, non avendo il coraggio di entrare. Il motivo non lo conosco, e più una cosa che sento dentro di me. Come se avesse capito, Theo posa giù il piatto e viene verso di me prima di circondarmi la vita con il braccio dietro la schiena. Si china verso di me. «Va tutto bene piccola?» sussurra al mio orecchio.

Alzo le spalle. «Non lo so».

Mi prende per mano e mi porta di sotto. In camera mi porge lo zaino. «Forza, mettiti il costume. Andiamo a nuotare, in questo modo ti schiarisci le idee».

Ovviamente ci ho messo meno tempo di Theo per mettermi il costume e uscire fuori verso la piscina. Mi siedo sul bordo, con le gambe immerse in acqua mentre alzo lo sguardo verso il cielo. Mica mi sono accorta che il tempo è volato via dato che sta quasi diventando buoi e già si riescono ad intravedere le prime stelle. 

Con la cosa dell'occhio intravedo qualcuno che cammina in punta di piedi lentamente verso di me. Capisco subito che si tratta del mio fidanzato, dato che indossa gli stessi pantaloncini rossi di ieri. «Se provi solo a spingermi in acqua, come ieri, giuro che ti affogo», dico fulminandolo con lo sguardo.

Si ferma di colpo e spalanca gli occhi. «Come hai fatto a capire quello che avevo intenzione di fare?» domanda prima di scendere le scale per immergersi nell'acqua e viere verso di me nuotando. L'acqua gronda dai suoi capelli, che bagnati sembrano più scuri. Mi sorride e si asciuga il viso con la mano.

«Mio caro Raeken, ti conosco meglio di chiunque altro e so cosa ti passa per la testa», rispondo e chinandomi verso di lui per dargli un bacio.

«Questo è vero. Tu conosci meglio di chiunque altro», ridacchia scuotendo la testa. «Ma adesso tu vieni in acqua, visto che ti sfido a una gara e tu non rifiuti mai una sfida. Chi tocca per primo lo scalino dall'atra parte della piscina vince, e io prometto di non barare».

«D'accordo». La loro piscina è abbastanza grande da poter fare una gara.

«Non pensavi di fare una gara contro il mio amico, senza il tuo amatissimo fratellone?» domanda Ryan mettendo il broncio e buttandosi in acqua.

«Forse, ma soltanto una», rispondo andando verso di lui per abbracciarlo.

«Io faccio il giudice», dice Abby prendendo il telefono per mostrarci il cronometro. «Che vinca il migliore. Tutti in posizione. Via».

Non riesco a descrivere le emozioni che provo ogni volta che il mio corpo nuota, ma proverò lo stesso a raccontarvele. Ogni volta che nuoto e come se il mio corpo scivolasse nell'acqua ed è anche il modo in cui riesco a schiarirmi la mente, come se tutti scomparissero, come se ci fossi solo io e l'acqua. Forse non sono ancora pronta a parlarvi di cos'è accaduto in passato, oltre a quello che sapete già, ma vi prometto che appena me la sentirò vi dirò tutto. Cercate di capirmi, anzi di capirci.

Alzo la testa appena tocco lo scalino. Non so chi ha vinto, ma vedo e sento soltanto Abby che saltella contenta battendo le mani.





«Grazie ancora», dice mamma abbracciando Cassandra prima di uscire di casa. «La prossima volta facciamo da noi».

«Come ho già detto, per noi è un piacere avervi a casa nostra e siete sempre i benvenuti», risponde lei. «Accettiamo l'invito».

A casa, mi precipito subito in camera mia per poi buttarmi nel mio morbidissimo letto. Mi sono addormentata prima che i miei fratelli entrassero in camera, e prima che potessi fare la doccia.

Non è il telefono ha svegliarmi nel bel mezzo della notte, ma dei qualcuno che tossisce e sembra si stia strozzando. Mi accorgo che questo suono proviene dalla nostra stanza, più precisamente alla mia sinistra dal letto di Daniel.

Mi alzo e vado verso di lui. «Fratellone che ti succede?» dico sedendomi sul suo letto.

Continua a farmi dei gesti, per prima indicandosi la gola e la bocca, poi sventolando la mano come per farsi vento a causa del troppo caldo anche se è soltanto in pantaloncini corti ed la finestra è aperta. Cerco di indovinare quello che mi sta comunicando: «Non riesci a parlare perché ti fa male la gola, e hai troppo caldo?»

Annuisce.

Intanto si è svegliato anche Ryan. «Che sta succedendo?» domanda appena ci vede dopo che si è strofinato le mani sugli occhi.

«Nostro fratello si sente male, vai ad avvisare mamma è papà» rispondo e lui subito dopo va a chiamarli.

Faccio per alzarmi, per andare ad accendere la luce, ma lui mi prende subito la mano. Brucia al contatto con la mia pelle. «Vado soltanto ad accendere la luce», dico rassicurandolo.

Non mi devo neanche alzare dato che ritorna nostro fratello, che accende la luce, seguito da mamma e papà. Quando riporto lo sguardo su Daniel, notò che è tutto rosso in volto e sta sudando. Le lenzuola e il cuscino, sotto di lui, sono tutte zuppe.

«Figliolo mio, tu non stai bene per niente», dice papà tocca dogli la fronte con la mano. «Stai scottando, è anche di brutto».

Mamma va a prendere il termometro.

Neanche dopo qualche secondo, la tacca del termometro è iniziata a salire. Qui si mette male.

«39,5», dice papà osservando il piccolo aggeggio tra le sue mani. «Dobbiamo andare subito in ospedale. Ci siamo già passati con Emily e Ryan, e ricordo benissimo quella volta. Non è normale avere una temperatura così alta, se fosse soltanto un normale raffreddore».

«Hai ragione, dobbiamo andarci subito. Gemelli voi prendete i telefoni e una delle vostre moto, per ogni evenienza, mentre noi aiutiamo vostro fratello a salire in macchina», dice mamma con il tono autoritario che usa mentre è al lavoro e da ordini.

Prendo subito uno zaino e ci infilo dentro i primi vestiti che mi capitano per mano. Prendo i casci e le chiavi. «Guido io», dice Ryan prendendomi tutti gli oggetti che ho in mano, tranne il mio casco.

Qualche minuto dopo, siamo già in strada dietro la macchina di mamma. Non riesco manco a esprimervi quello che provo in questo momento. Forse paura? Non lo so.

Vorrei chiamare Theo, per dirgli tutto quello che sta succedendo, ma non me la sento di parlare con nessuno e poi so anche che lui si precipiterebbe subito da noi.

Le sala d'attesa degli ospedale fanno letteralmente schifo. Le odio, dato che racchiudono brutti ricordi. Ci sono un sacco di sedie, posizionate su dieci file una dietro l'altra, e la metà di loro sono tutte occupate. Un monitor di fronte a noi segna il turno della persona che tocca dopo.

Io e Ryan siamo seduti nell'angolo più remoto della sala, lontano dagli occhi di tutti, mentre mamma e papà sono con Daniel a fare le analisi. Rabbrividisco, e mio fratello se ne accorge. «Tieni, mettiti una felpa», dice estraendone una dallo zaino e porgendomela.

«Grazie».

Undici o dodici ore dopo, ci hanno rispedito a casa dicendoci che c'aveva soltanto un raffreddore e che non c'è niente per cui preoccuparsi. Ma io non la penso cosi. Mentre stavamo seduti in sala, in attesa del risultato delle sue analisi, sembrava che la situazione di Daniel stava peggiorando non migliorando.

Come diavolo fai a mandare a casa un ragazzo malato, con febbre a quaranta e dirgli che sta bene? Non è possibile.

Non capirò mai i dottori, mai. Aspettiamo e vediamo se le sue condizioni migliorano. Lo spero con tutta me stessa.

Let Me Love You 2//Theo RaekenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora