CAPITOLO 37

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Sono quasi le sette e ancora devo fare lo shampoo. Corro in bagno e quando finisco di lavarli prendo l'asciugacapelli e inizio a far rilasciare aria calda sui miei capelli. Sono le sette e mezza. Non ho tempo, non ce la farò mai. Metto un jeans e un maglione a collo alto bianco a strisce gialle. Mi trucco con un po' di fard e il mascara. Sono le otto meno dieci e spero sempre di più che faccia ritardo, ma invece no, alle otto in punto sento il campanello e lui mi aspetta con un jeans scuro e una giacca che nasconde il maglioncino aderente nero. Quando mi vede sorride e per poco non ride. Ci credo: ho un aspetto orribile. I miei capelli non sono ancora asciutti e so già che diventeranno gonfi. Gli faccio via libera per farlo entrare, ma non mi lascia neanche il tempo di mettere qualcosa poiché mi prende il polso ed usciamo di casa.

"Aspetta" gli dico, ma non mi ascolta. Mi fa entrare in macchina e quando si siede anche lui al posto del guidatore, mi copre con la sua giacca come se fosse una coperta però mi riscaldo solo quando mette il riscaldamento.

"Avrai freddo, voglio prendere qualcosa per coprirmi..."

"Ho il giubbotto per il lavoro" è freddo. Accende il motore e parte. Pensavo che dovessimo parlare, non che fosse un appuntamento.

"Dove andiamo?" È tutto buio e ho paura. Anche se ci conosciamo da abbastanza tempo, non sono mai uscita con lui.

"Non essere nervosa, stiamo andando a casa mia" guarda le mie mani che si torturano sotto la giacca.

"Perché? Casa mia non andava bene?"

"Non mi sarei sentito a mio agio."

"E credi che io mi sentirò a mio agio una volta arrivati a casa tua?" Vorrei non far notare che sono preoccupata, ma non ci riesco. Non ribatte. Questa è la strada per arrivare alla caserma. Io ci vado a piedi e c'impiego anche mezz'ora, ma adesso che ci vado in auto arriviamo in dieci minuti. Scendo e le gambe tremano. Mi voglio fidare di lui, non posso fare tutta questa confusione. Vuole essere gentile, mi devo solo adattare a questo nuovo aspetto di lui che non conoscevo.

Il suo appartamento è molto modesto, ha solo le cose indispensabili, ma risulta comunque accogliente. Assomiglia al mio, ma preferisco il suo. Ritorno in me e lui ha tolto le scarpe e ha acceso il riscaldamento. Beviamo e dopo un po' sono già ubriaca. Non avrei dovuto bere tutto quello champagne.

"Possiamo parlare?" Gli richiedo per la seconda volta. Si siede sul divano e annuisce. Resto in piedi.

"Cosa ti è successo in questi giorni?"

"Cosa ho fatto?" Fa la parte dell'innocente e m'irrito. Anche lui sembra brillo.

"Mi eviti e sembra che mi faccia un piacere quando mi parli, ecco cosa hai fatto."

"Non è la verità?- mi guarda negli occhi -Non è forse vero che vuoi che la mia voce sovrasti la tua poiché non fai altro che tormentarti e pensare alla stessa persona tutto il tempo?" Abbasso la testa.

"Me lo potevi dire subito, non ti avrei chiesto più niente" mi prende per le spalle e alzo il viso.

"E tu cosa avresti fatto? Non mi avresti più parlato? Volevo aiutarti, ma vedo che non ci riesco e non capisci quanto sia difficile per me vederti ogni giorno" non volevo essere così.

"Voglio esserti..." riuscivo a malapena a tenermi in piedi, infatti mi appoggio a lui.

"Ti prego, non dirlo. Non dire altro poiché non voglio sentire nient altro" pensavo che stesse per cacciarmi vedendo il suo viso rosso un po' per la rabbia e un po' per lo champagne, ma invece mi bacia.

MA CHI ME L'HA FATTO FARE! |C.Y.|Where stories live. Discover now