Capitolo 6

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Dopo essermi svegliata andai in cucina per fare colazione. Alzai le sopracciglia sorpresa quando vidi che Marta non c'era.

Di solito era lei a svegliarsi per prima, ma sembrava essere ancora chiusa in camera. Sentivo che c'era qualcosa di strano, qualcosa che non andava. E quando si trattava di lei non potevo lasciare semplicemente stare. Forse voleva da stare da sola in quel momento, ma io dovevo sapere che le succedeva.

Bussai alla sua porta ma nessuno rispose, così entrai lo stesso. Era ancora sul letto con le coperte fino al mento, nonostante a Roma non facesse ancora freddo. Fissava il soffitto con occhi sbarrati, e non mi guardò nemmeno quando entrai. Mi sedetti sul letto vicino a lei e le accarezzai i capelli.

– Non ho passato l'esame. – mormorò.
Io trasalii. Ecco perché ieri non mi aveva dato nessun dettaglio e mi aveva liquidata in quel modo. L'esame non era andato bene, affatto.
– E perché non me l'hai detto ieri? – le chiesi, non capendo.
– Perché mi vergogno. Non abbiamo mai fallito, in questi tre anni, invece ieri io non ho passato l'esame. Io! Ti rendi conto? – disse, iniziando ad alzare il tono di voce.

Era visibilmente arrabbiata con se stessa, e non potevo biasimarla perché lo sarei stata anche io al posto suo. Ma dovevo riuscire a farle capire che fosse umano sbagliare, e che sarebbe potuto succedere di nuovo in futuro, ma che il mondo non sarebbe caduto.

– Perché non mi racconti con calma come è andata? – le chiesi dolcemente.
– Non c'è molto da raccontare. All'inizio ero partita bene... poi mi ha fatto delle domande troppo specifiche, ha tirato fuori cose che io avevo tralasciato e... da lì ho fatto scena muta. - disse, coprendosi il viso con le mani.
– E secondo te perché le avevi tralasciate quelle cose? – le chiesi ancora.
Era una cosa piuttosto insolita per Marta, lei era quella capace di ingoiarsi interi libri e ricordarseli per il resto della sua vita.
– Non ne ho idea. Ho studiato superficialmente, ma non so perché. Non so che mi sta succedendo, Em. – si girò verso di me e affondò il viso nel mio fianco, scoppiando a piangere e bagnandomi il pigiama di lacrime.
– Sfogati. Io sono qui. Io sono sempre qui con te. – le sussurrai mentre le accarezzavo i capelli.
– Tu diventerai un bravissimo medico, invece io finirò a fare la farmacista da quattro soldi che vende l'Oki alla gente. – piagnucolò.
– Non dirlo neanche per scherzo. Io diventerò un buon medico, e tu una farmacista in gamba, che lavorerà nella più grande casa farmaceutica e scoprirà nuovi farmaci che salveranno la vita delle persone. – le dissi per incoraggiarla, ma comunque quelle cose le pensavo davvero.
– Io non ne sarei così sicura. – disse con tono da bambina.
– Allora, facciamo così. Oggi non andiamo all'università, oggi non facciamo niente. Stiamo qui, così. Da domani torniamo alla realtà, e da domani ti metti sotto e studi per ridare l'esame. – le dissi sorridendole, e lei si mise seduta, appoggiata alla testiera della letto. Si asciugò le lacrime con le maniche del pigiama, e sospirò.
–Va bene. Però adesso voglio che mi racconti qualcosa, qualsiasi cosa che ti viene in mente. – mi guardò con gli occhi rossi dal pianto e mi si strinse il cuore nel petto.
– Sabato, quando mi hai lasciata andare a correre da sola, ho incontrato un ragazzo. O meglio, Spettro ha incontrato una cagnolina, ed io il padrone. – le iniziai a raccontare di Andrea.
– Oh. – disse, interessandosi.
– Lui si chiama Andrea, ed è un figo da paura. – ridacchiai, e lei con me.
– Ma la cosa incredibile è che il suo cane è un golden retriever, e si chiama Lady! – esclamai.
– Come il metalupo di Sansa? – spalancò la bocca, scioccata.
– Sì! – annuii.
– O mio dio, Em! Hai appena trovato la tua anima gemella! – urlò contenta.
– Ma smettila. – le diedi un colpetto sul braccio scuotendo la testa, e scoppiammo a ridere.




Ero in cucina a tagliare verdure, stranamente, quando Marco entrò sfregandosi la faccia, assonnato.
– Marta? – mi chiese, non vedendola.
– È andata a fare una copia delle chiavi di casa, per te. – dissi, senza guardarlo.

Vidi che annuì con la coda dell'occhio, e si sedette a tavola. Non sulla sedia vicino alla mia, ma si sedette a tavola.
– Sei... stata brava con lei, prima. – disse, quasi tentennando.
– Cosa? – alzai lo sguardo su di lui con la fronte aggrottata.
– Ho origliato, lo ammetto. – ridacchiò, ed io feci per lanciargli il coltello in faccia. Poi pensai a tutte le mie compagne di università che mi avrebbero perseguitata ed uccisa per aver sfigurato il volto del loro amato pallone gonfiato.
– Non so che le stia succedendo. Forse ha solo bisogno che la sua vita prenda una svolta. – dissi pensierosa. –
Che vuoi dire? – mi chiese interessato, mettendo la braccia conserte sul tavolo e appoggiandosi su di esse con il mento.
Cercai di ignorare i muscoli che sembravano scoppiare in quella posizione nella maglietta grigia che indossava, quindi tornai a guardare la carota che stavo tagliando.
– Vivo con lei da tre anni, dal nostro primo giorno di università. E non l'avevo mai vista così abbattuta prima d'ora. Si è sempre impegnata, in tutto. Non ha mai saltato un giorno di studio, un giorno di palestra, un giorno di cibo sano. E non ha nemmeno saltato un sabato sera in discoteca. Tutto questo fino al tuo arrivo. E non ho ancora capito cosa centri tu in questa storia. – mi alzai da tavola e versai la carote tagliate a rondelle in una padella. Sentivo il suo sguardo seguirmi in ogni movimento, e non mi piaceva per niente.
– Pensi davvero che sia colpa mia? Marta è stufa di non saltare nemmeno un giorno di niente. È stufa, e ha bisogno di cambiamento. Come hai detto prima... ha bisogno di una svolta nella sua vita. – disse sicuro, come se fosse uno psicanalista.
– Ed io non posso darle questa svolta. Sono una persona che ama il controllo, io devo avere il controllo su tutto altrimenti mi sento male. E sono anche abitudinaria, mi piace avere le cose programmate e rispettare la mia solita routine. Non lo trovo noioso, al contrario. Mi soddisfa, in un certo senso. Mi sento a posto con me stessa. – feci spallucce, e non so bene cosa mi spinse a parlare di me così apertamente con lui, ma in quel momento mi sembrava giusto.
– Sì, questo lo avevo capito. – ridacchiò.
– Come? – chiesi stranita. Se ne era veramente accorto?
– Certo, è per questo che mi odi. Perché non puoi controllarmi. – mi girai di nuovo verso di lui e lo vidi sorridermi beffardo.
– Come no. – mormorai, continuando a cucinare.
– Comunque farò il possibile, per Marta. Le posso far conoscere un sacco di gente, credo che le farebbe bene. Potrebbe trovare un ragazzo che le piace. – disse.
– Le vuoi bene davvero? – gli chiesi, facendogli intendere che fino a quel momento avevo avuto i miei dubbi.
– Le voglio bene davvero. – mi rispose sicuro. Io annuii e misi a cuocere il pesce in un'altra padella.
– Posso dirti una cosa? – mi chiese d'un tratto. – Dimmi. – mormorai, concentrata nel condire il pesce in modo perfetto.
– Non credi che quell'Andrea sia un po' sospetto? Insomma... il suo cane si chiama come la sorella di Spettro?! – mi chiese preoccupato.
– Hai origliato anche quello? – urlai, lanciandogli addosso un pezzo di carota.
– Visto che c'ero. – fece spallucce, e non so come scoppiamo a ridere.

Ridevamo come se il giorno prima non ci fossimo quasi uccisi in camera mia. Le piccole rughe d'espressione che gli si formarono sul viso mi fecero quasi pensare che quello non fosse neanche il Marco di ieri. Il suo telefono squillò e lui aggrottò le sopracciglia.

– Scusami. – disse tra le risate, alzandosi da tavola e andando in camera sua. Dopo qualche minuto tornò, e si sedette sul divano, buttando la testa all'indietro. Spettro si avvicinò a lui con la lingua di fuori, come se stesse sorridendo. Gli posò una zampa sul ginocchio, chiedendogli attenzioni e carezze. Spettro in quei giorni ero riuscito ad instaurare un bel rapporto con lui, nonostante non lo facesse entrare in camera mia.

– Spettro, lasciami in pace! – gli disse brutalmente, e a testa bassa il cane venne da me in cucina. Lo accarezzai sotto il collo, poi andai in soggiorno.

– Va tutto bene? Chi era al telefono? – chiesi a Marco, quasi in modo apprensivo.
– Nessuno. Va tutto bene. – disse senza guardarmi.
– Sei sicuro? Non... - provai a dire.
– Sì! Ti ho detto che va tutto bene! Sto bene! Solo che non voglio quel cane sempre tra i piedi! – si alzò di scatto dal divano per sbraitarmi in faccia.
Le sue parole erano cariche di veleno, e sembrava essere tornato il solito Marco. E allora io sarei tornata la solita Emma.
– Anche io non ti voglio sempre tra i piedi ma non posso farci niente! – gli risposi con lo stesso suo tono. Lui mi guardò con disprezzo, e contrasse la mascella.

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Con Marco è così: ogni passo avanti si fa un passo indietro. Che ne pensate di questo capitolo? Vi siete mai sentiti come Marta? E avete mai conosciuto qualcuno come Marco? Fatemelo sapere nei commenti e votate se la storia vi sta piacendo!

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Odi et amoWhere stories live. Discover now