Capitolo 28

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Mi staccai di colpo da Marco, che mi guardò interrogativo.

– Emma! – mi chiamò, quando io ero ormai troppo lontana.

Ero corsa verso Andrea con il cuore in gola. Avevo seriamente paura che se ne volesse andare, visto che l'espressione sulla sua faccia non prometteva nulla di buono.

– Ehi. – gli presi il polso, costringendolo a girarsi verso di me.

– Va tutto bene? – gli chiesi agitata.

– Sono stanco. Domani devo andare presto in ospedale. – disse freddo.

– Oh... allora ce ne andiamo. – feci spallucce come se non ci fosse nessun problema.

– No, tu rimani. Tanto credo che per Marco non ci siano problemi se chiedi a lui un passaggio per tornare a casa. – disse ancora con quel tono.
Eravamo andati alla festa con la sua macchina, quindi io avrei dovuto chiedere uno strappo a qualcuno. Ma non era quello il problema, era il suo atteggiamento che mi stava facendo salire l'ansia ogni secondo di più.

– Non mi interessa rimanere qui. Andiamo a casa. – gli sorrisi come se niente fosse e gli presi la mano. Lui rimase in silenzio e uscimmo dal palazzo. Non avevo salutato nessuno, nemmeno Davide, ma Andrea non sembrava propenso a rimanere anche solo un secondo di più.

Il tragitto in macchina fu silenzioso, un silenzio assordante. I suoi occhi marini erano diventati glaciali, e i suoi lineamenti dolci si erano tramutati in spigolosi e affilati. Si fermò sotto casa mia, e quando spense la macchina si limitò a guardarmi.

– Perché non sali? Marta non c'è, è dal ragazzo. – lo invitai, perché non volevo che la serata si concludesse con lui che era incavolato nero per non sapevo cosa.

– Ti ho detto che domani mattina attacco il turno presto. – disse lui scocciato. Ma non mi sarei arresa.

– Va bene, quando vuoi te ne vai. – feci spallucce. Lui sospirò ed abbassò lo sguardo.

– Va bene. – mormorò, ed scendemmo dalla macchina. Entrati in casa, Spettro venne subito a farci le feste, e guardò Andrea come per chiedergli dove fosse la sua Lady.

– Lady è casa sua, piccolo. – ridacchiai parlando con il mio cane. Mi tolsi i tacchi e presi Andrea per mano, conducendolo in camera mia. Come da copione, Spettro iniziò ad abbaiare non appena lui varcò la soglia della mia stanza.

– Spettro, smettila. A lui non si abbaia. – gli puntai il dico contro, severa, e lui mi lanciò un'occhiata poco convinta, ma poi abbassò il capo e se ne andò in salotto quatto quatto.

– Perché ha abbaiato? – mi chiese Andrea confuso.

– Non vuole che nessuno oltre a me e Marta entri in camera mia. È come se volesse proteggermi dagli uomini che potrebbero abusare di me. – ridacchiai, pensando a quanto fosse speciale il mio cane.

– Ah. – disse lui, a metà tra il divertito e lo scioccato. Mi sedetti sul mio letto e lui fece lo stesso.

– Che cos'hai? – gli chiesi, arrivando finalmente al punto.

– Non ci sto capendo nulla, Emma. – disse con tono afflitto.

– Cioè? – gli chiesi, sempre più preoccupata e confusa.

– Non so se stasera sono stato con la Emma che ho conosciuto al parco. – rivelò, ed io sentii come una coltellata nel petto. Come poteva pensare una cosa del genere?

– Ma che dici?! – sussurrai incredula.

Mi ero battuta con tutte le mie forze per far capire alla gente che io non volevo fare la modella nella vita, che io sarei stata un medico e che quello che stavo facendo era solo per divertirmi e per sfruttare i migliori anni della mia vita, quelli che non sarebbero più tornati. Perché proprio Andrea non riusciva a capirlo? Proprio lui, che aveva passato anni e anni sui libri prima di prendere in mano un bisturi?

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