Capitolo 5

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Il giorno dopo a scuola non riuscii quasi a concentrarmi, nemmeno durante l'ora di letteratura italiana in cui stavamo trattato Carlo Goldoni, le cui opere a me piacevano tanto. Continuavo a pensare al significato della siringa e alle espressioni sul volto di Lorenzo quando io aprii la porta dello spogliatoio e poco prima di allontanarmi in bicicletta. Il mio mantra appena arrivata in pista era "Non mostrare emozioni" e me lo ripetevo ogni volta ormai da dieci anni. Invece quella siringa mi aveva scombussolata e fatto abbassare la barriera. Pensai subito che Lorenzo poteva avere già raccontato tutto l'accaduto agli altri, come presentarsi allora all'allenamento senza fare trasparire preoccupazione o rabbia? Ero furibonda.

Non avevo raccontato ancora nulla ai miei genitori, altrimenti avrebbero chiamato l'avvocato senza pensarci due volte e l'avvocato avrebbe risposto loro che non si sarebbe mai arrivati al colpevole, quindi contattarlo sarebbe stato tempo perso.

Riccardo quella mattina mi telefonò poco prima di arrivare a scuola per chiedermi come stavo e se ero riuscita a dormire. Io gli risposi che era tutto apposto, ma in realtà mi sentivo malissimo e per fortuna che ero lontana dal ciclo mestruale, altrimenti avrei rischiato sul serio di creare una cascata di lacrime.

Avevo in mente la scritta sulla siringa "Puttana Dopata". Quei due aggettivi non mi descrivevano nemmeno presi singolarmente, insieme erano il contrario di me. Non avevo mai avuto una vera storia d'amore e soprattutto da quando la mia attività di atleta era diventata più impegnativa, non avevo nemmeno più avuto un flirt. Non sapevo nemmeno come dare un bacio vero. Il termine "puttana" non mi apparteneva neanche lontanamente. Senza contare che d'istinto e per l'educazione ricevuta dai miei genitori io non ero assolutamente quel genere di persona che passava da un ragazzo all'altro o che stava con più contemporaneamente.

Per quanto riguarda il termine "dopata" non era vero nemmeno quello, i miei risultati dipendevano tutti dal mio stile di vita semplice e regolare, mangiavo sano e leggero, non mi ero mai ubriacata in vita mia, forse un capodanno Riccardo ero riuscito a farmi arrivare al grado di brilla, ma nulla di più. E andavo a letto presto, quasi mai dopo le nove e mezza, salvo casi eccezionali di feste di famiglia o compleanni non nel periodo delle gare. Per il resto erano doti naturali. Ero contraria al doping, assumerlo oltre a far male alla salute, mi sembrava anche poco rispettoso nei confronti dei miei avversari puliti che come me si sacrificavano tanto per rendere bene in quello sport, in più non mi sarei sentita coerente con me stessa. Fallire, perdere una gara serve a conoscere i propri limiti, capire dove bisogna migliorare.

Non ero nessuna delle due cose. E quello che mi faceva ancora più male, oltre a quella descrizione, era che chi mi aveva fatto questo, nemmeno mi conosceva. All'interno della squadra non mi conosceva nessuno davvero. Non avevo nessuno di loro tra gli amici su Facebook. Ultimamente dicono che spesso i social network rappresentano la persona che siamo e ciò che vogliamo mostrare. Ai miei compagni di squadra bastava cosi poco per conoscermi almeno quello che sarebbe bastato per non credermi una persona cattiva o "puttana" come ero stata etichettata.

E mi faceva male. Cercavo in tutti i modi di nascondere la mia tristezza e il mio risentimento per non dargliela vinta, ma spesso era difficile. Non me la sentivo nemmeno di andare all'allenamento quel pomeriggio e quelli seguenti, ma dovevo, ci tenevo a piazzarmi ai campionati mondiali.

Dovevo resistere. Ora avevo un altro mantra "Dovevo resistere". Dovevo resistere anche dal prendere a schiaffi il professore di filosofia!!! Quando ci passò il foglio della verifica, avrei voluto appallottolarlo e lanciarglielo dietro. Prima di rispondere alle domande, bisognava fare la parafrasi di quello che stavano chiedendo. Quel professore quando spiegava era soporifero, lento e complesso. Ma lì dicevi: " Va beh, lascialo parlare, tanto per studiare leggo il libro". Invece no, in quella verifica dovevi prima risolvere quel rebus di domande, dopo si poteva rispondere. Una mia compagna di classe alzò la mano per chiedergli spiegazioni, non ero l'unica rincitrullita, allora!

Corri da meWhere stories live. Discover now