1. Catering

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Il via via di gente quel giorno riempiva la casa, una residenza decisamente troppo grande per ospitare solo tre persone

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Il via via di gente quel giorno riempiva la casa, una residenza decisamente troppo grande per ospitare solo tre persone.

Di solito, il silenzio regnava sovrano in quella dimora, interrotto solo dalle feste occasionali. Lì, la vita trascorreva in tranquillità, ognuno immerso nei propri pensieri e problemi.

La villa, un tempo un sontuoso palazzo barocco, era stata completamente ristrutturata e modernizzata, ma i dettagli del suo glorioso passato erano stati rispettosamente preservati. Le pareti adornate da ghirigori intricati, il soffitto alto, i sontuosi lampadari di cristallo, i dipinti preziosi e i divani d'epoca contribuivano a creare un'atmosfera regale e maestosa. Il contrasto tra l'antico splendore e i comfort moderni si fondeva armoniosamente.

Ero abituata al silenzio, che mi avvolgeva da quando avevo pochi anni, e in quel momento trovavo decisamente fastidioso il riecheggio contino delle miriadi di scarpe sul marmo bianco e del vociare generale che il personale del catering faceva, comunicando tra di loro.

Erano stati ingaggiati perché quella sera ci sarebbe stata una festa e tutti erano in fermento. Capivo l'entusiasmo. La villa aveva un'aura che affascinava chiunque vi mettesse piede, facendoli sentire nobili al solo passaggio.

Nella mia stanza sbuffavo infastidita, volevo solo avere un po' di solita pace per immergermi nel mio libro, dato che avevo dovuto rileggere una frase per cinque volte senza capire nulla.

Però qualcuno aveva deciso che non era quello il mio destino quel giorno. Anche perché qualche secondo dopo mia sorella entrò nella mia stanza di fretta e furia.

Anche lei rendeva il tutto più allegro, ma solo per sei mesi all'anno, per poi ritornarsene a Parigi per i restanti sei per una sorta di Erasmus, ospitata dalla sorella di nostro padre.

Trasalii quando caricò tutta la sua forza sulla maniglia di ottone laccata in oro, facendola poi sbattere al muro, corse verso di me, mentre l'entusiasmo piegava le sue labbra in un sorriso. «Oh mio dio... Meg! Hai visto i camerieri!?» La sua voce squillante arrivò dritta alle mie orecchie, infastidendo ancora di più la mia testa, che doleva da un'ora a quella parte. Le brillarono gli occhioni blu quando me lo disse, probabilmente ripensando a qualcosa, avvicinandosi al letto e puntando le sue mani sul materasso.

Era più giovane di me di due anni e gironzolava sempre con due trecce scure che si intrecciavano sempre con fiocchi diversi. Avrei sempre costudito il ricordo della piccola ragazzina dal sorriso tenero e gli occhi curiosi, ma il tempo stava scolpendo nuove sfumature sulla sua giovane figura. Cresceva rapidamente, troppo rapidamente, e mi ritrovavo a contemplare la donna che stava diventando.

Aveva conservato però quel suo tocco infantile nei dettagli, come i fiocchi tra i capelli, ma il suo sguardo raccontava storie nuove, segreti che solo lei poteva conoscere. E mentre la guardavo, mi chiedevo quante delle sue giornate avessi lasciato scivolare via senza neanche accorgermene, quante risate e lacrime avessi perso.

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