23. Le guardie del corpo

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Megan

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Megan

Quando tornai a casa non sapevo assolutamente come comportarmi, cosa fare o dire per giustificare la mia assenza durante la notte. Dovevano essersi accorti che fossi sparita dall'asta di punto in bianco, ma non un messaggio era arrivato sul mio telefono. Tranne Travis, che mi chiedeva dove fossi finita, ma della mia famiglia non ce n'era traccia.

Sapevo che Taylor non avesse detto a nessuno dove mi trovassi, l'avevo avvisato di non farlo, ipotizzando che poi avrei avuto una scusa plausibile. Invece non avevo idea di cosa fare o dire. Troppo arrabbiata per quel che mi aveva detto Jackson e non avevo pensato a niente di brillante.

Così quando incontrai mia sorella in camera mia quella mattina, intenta a prepararsi per la scuola, mi paralizzai, pronta alle tremila domande.

Sussultò quando mi vide, cogliendola alla sprovvista. Guardò il mio riflesso allo specchio della mia toeletta, assumendo un'espressione guardinga, come una persona che era stata scoperta a fare qualcosa che non dovrebbe assolutamente fare. Ovvero usare i miei trucchi, i fermagli e i gioielli, in pratica sedersi su quello sgabello e prendere tutte le mie cose. «Sapevo che non c'eri e quindi...» Si alzò in fretta con un sorriso di scuse in viso, visto che litigavamo spesso per quello.

Ma in quel momento non ci pensai più di tanto, avevo la testa concentrata su altro. «Sapevi che non c'ero?», domandai più confusa che mai.

«Ma certo, la signora Stevenson ci ha avvertito che avresti passato la notte da lei, visto che sua nipote è venuta in città. Non sapevo avessi amicizie del genere, come fai a conoscerla?» Lei iniziò a sfilarsi le forcine con le perle dai capelli castani, riponendole nell'apposito contenitore.

In quel momento caddi dalle nuvole, capendo al volo che Blaire mi avesse appena coperto le spalle con quella scusa banale, ma che a quanto pareva era efficace. «Mi è stata presentata ad un ricevimento in passato, non potevo non stare con lei, non so quanto riparte» Mi uscì di getto, mentendole spudoratamente e non trovando ancora senso in quel che dicessi o in quel che avesse detto la signora Stevenson.

«Mh, capisco... vieni a scuola conciata in quel modo?» Fece un cenno verso il mio abbigliamento e solo in quel momento mi resi conto di avere ancora il vestito della sera precedente. Per non parlare dei boccoli afflosciati e raccolti in una coda bassa o il trucco nero che non si era tolto del tutto dal viso.

«Non vengo a scuola. Devo portarmi avanti con alcuni compiti e studiare anche quelli che mi ha assegnato il signor Wolly». Ovviamente per noi la scuola non bastava e nostro padre ha assunto un altro insegnante che ci istruisse sulle altre materie. Come ad esempio il greco e il latino, due lingue quasi del tutto morte che in quel lato del mondo non servivano a niente. Così dovevamo fare il doppio del lavoro e della fatica.

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