36. Il riconoscersi delle ombre

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Megan

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Megan

Il mio cuore esplose probabilmente.

L'attimo prima era intatto, be' un po' ammaccato in realtà, e l'attimo dopo aveva iniziato a battere così forte che sentii il suolo mancarmi da sotto i piedi.

Ero bloccata, cristallizzata in quelle emozioni travolgenti e ogni volta sempre più sorprendenti. E allo stesso tempo sentii il tempo dilatato in uno spiraglio di eternità che mi metteva paura, che mi piaceva più di ogni altra cosa.

Non c'erano rose e fiori, quella confessione era come una lama che mi penetrava nel petto, rendendo tutto vero. L'aveva detto davvero. Ed era bello, faceva male per quanto era bello.

Ero abituata a quel contrasto con lui, sapevo che ci sarebbe sempre stato tra di noi. Come se luce e ombra si contendessero all'infinito lo spazio nell'ultimo crepuscolo.

Era come una melodia spezzata che risuonando riusciva comunque ad affascinare.

E tutto quello mi piaceva. Non c'era niente di scontato, niente di finto o costrutto. Mi aveva ceduto il suo cuore, dopo che per averlo avevo combattuto con le unghie e con i denti e non avrei lasciato che niente e nessuno potesse ferirlo di nuovo.

Perché per quanto ostentasse sicurezza e durezza, Jackson era davvero ferito. Aveva cicatrici che sanguinavano da anni e periodicamente qualcuno vi buttava del sale, non permettendogli di guarire.

«Dì qualcosa per favore». Mi accarezzò il viso, facendomi rabbrividire per la freddezza delle mani. Era ancora completamente bagnato.

«Non so cosa dire. Sono sconvolta ancora e quasi non ci credo».

Si accigliò. «Non credi che io ti ami?»

Spalancai gli occhi. «No, assolutamente. Intendevo tutto il resto, il nostro passato». Avvolsi le mani attorno a suo collo, fregandomene che fosse ancora bagnato e stringendomi a lui. Poi feci un piccolo sorriso, tra le lacrime che ancora scendevano giù. «E... mi ami davvero?»

«Sì, borghesotta, davvero». Il sorriso che mi rivolse anche lui fu il più dolce che mi aveva mai fatto.

Lo baciai e le nostre lacrime si fusero, come lo fecero le nostre anime, che ormai avevano trovato il loro opposto affine e che non lo avrebbero lasciato mai più.

Avevo tremila domande in testa, soprattutto perché c'erano alcune cose che ancora non mi erano chiare. Come per esempio, ancora non avevo capito il perché si ritrovasse in camera mia un anno prima. Com'era possibile che con il nostro passato mi odiasse così tanto all'inizio. E poi volevo sapere ogni cosa su mia madre, tutto ciò che pensava di lei, tutto ciò che gli aveva detto se lo ricordava.

«Le sento anche io tutte le domande che vuoi farmi, ma la storia non è ancora finita e forse così il quadro sarà anche più chiaro». Mi disse quando mi scostai per riprendere fiato.

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