7. Scintille di guerra

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Jackson

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Jackson

Alcune volte volevo sapere davvero cosa la gente pensasse di me. In un modo o nell'altro ero conosciuto in tutta la bassa Wealthill e per forza di cose, con il tempo, le persone si erano fatte un'idea ben precisa di me, soprattutto in base al mio lavoro.

Non mi curavo molto dell'opinione pubblica, non mi interessava granché, ma rare volte diventavo curioso.

Forse credevano che i miei unici interessi fossero i soldi, le donne, i lavori, le armi e allenarmi notte e giorno per incutere timore a tutti, visto che quando mi incrociavano quasi tutti cambiavano strada.

Anche se ero uscito dal giro da un po', avevo sempre una reputazione alle spalle, anche piuttosto pessima in realtà, visti gli ultimi mesi a confermarla. Quindi non li biasimavo neanche un po' quando volevano evitarmi a tutti i costi.

Avevo avuto a che fare con gente pericolosa, molto più di Reed, ucciso uomini, rubato per conto di altri e le cose non finivano lì. Fatto cose indicibili e le persone ne conoscevano solo la metà e neanche le peggiori.

Quindi non biasimavo neanche tutte le congetture che spesso mi venivano all'orecchio o i bisbigli che catturavo al mio passaggio.

Ma la verità era ben diversa.

Infatti quel giorno, la mia preoccupazione più grande, era un ragazzino di dodici anni che non mi rivolgeva la parola.

Sapevo che con la mia assenza avevo ferito molti di loro, anche se i più grandi sapevano che spesso sparivo senza dare preavviso e poi tornavo dopo un po'. Lo facevo sempre. Ma per i più piccoli era difficile da comprendere e vedevano solo l'ennesimo abbandono da parte di qualcuno di cui si fidavano.

Però lo facevo per il loro bene, anche perché erano la mia famiglia. Mi preoccupano costantemente per loro come fossero dei fratelli minori. Ogni mia scelta veniva posta in base ai loro bisogni. Ma c'erano alcune volte in cui dovevo lasciarli per un periodo di tempo. Erano abituati alla mia costante presenza, ma da quando ero stato trascinato di nuovo nel "giro", dovevo stare attento.

Non potevo di certo dire quale fosse il mio lavoro oltre al servizio di catering e il negozio di tatuaggi.

Quel tipo di lavoro era ben diverso e non volevo traumatizzare la loro infanzia. Avrebbero avuto decisamente troppo tempo per macchiarsi l'anima con tutta la merda che ci circondava ed io non volevo iniziare.

Però in quel momento, Steven era il mio problema.

Non sopportavo gli occhi bassi, il tentativo di non guardarmi mai o i sorrisi repressi quando provavo in tutti i modi a farlo ridere. L'avevo ferito e la missione di quel giorno era avvicinarmi a lui il più possibile.

Solo... non sapevo come fare.

«Quindi prima o poi me lo dirai quello che hai fatto in questo periodo oppure no?» Cody si avvicinò, mentre infilavo i piatti nella lavastoviglie nuova di zecca.

Beyond the surfaceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora