28. Mors tua, vita mea

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Megan

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Megan

Mi ero persa un po' di cose dopo che avevo deciso di prendermi quella pausa per metabolizzare la scomparsa di Angeline.

Ad esempio non avevo pensato al fatto che, visto che c'era stato quell'attacco, Tanner aveva scoperto il nascondiglio segreto di Reed. Ci ero arrivata in un secondo momento e quella consapevolezza mi aveva fatto agghiacciare il sangue nelle vene e tirare giù più di quelle imprecazioni che la me del passato sarebbe inorridita a sentirle.

Poi avevo scoperto che avevano provato a prendere altri bambini e proprio per quello li avevano spostati tutti nell'edificio più grande.

Sulla piccola tomba di Angeline c'erano più di cento disegni. Alcuni rovinati dall'acqua, un po' strappati e altri nuovi e appena fatti.

Ero venuta a sapere che Rose si sentiva in colpa più di quanto immaginassi, visto che aveva provato a scappare lei stessa per andare da Tanner, in modo che quegli attacchi finissero contro i bambini. Cody e Jackson l'avevano fermata in tempo prima che compisse qualche sciocchezza.

Ero inorridita da tutto quello che era successo, ancora non riuscivo a capacitarmene. Neanche in quel momento, seduta al grande tavolo ovale per parlare delle prossime mosse.

Tanner doveva esser fermato subito, non potevamo permettere che sapesse il luogo in cui tutti ci rintanavamo.

Guardai mio padre che parlava con tutti e mi rincuorai della presenza di Jackson al mio fianco. Eva e Kirk, i gemelli inquietanti, erano proprio di fronte a me e solo quel giorno avevo scoperto che erano fondamentali nell'organizzazione dei piani. Super intelligenti e abili nel lancio dei coltelli e del corpo a corpo. C'era anche Gregh, il braccio destro di Reed, che guardava un po' malinconico un punto impreciso. Era enorme, un gigante in ogni cosa, ma aveva un cuore d'oro e sensibile. Era il più attaccato ai bambini e sentivo che l'assenza di Angeline pesava ancora.

Nella stanza c'erano altre persone con le quali non avevo mai avuto il piacere di parlare, eravamo veramente tanti lì sotto terra.

Sembravamo un po' i cavalieri della tavola rotonda in quel momento. Be', con qualche differenza. Direi più i criminali della tavola ovale.

«Quindi state dicendo che converrebbe far venire lui qui», stava dicendo Reed, interrompendo la discussione e guardando tutti i presenti. Con uno dei suoi soliti completi formali e austeri, aveva entrambe le mani sul tavolo, e provava a formare una strategia d'attacco.

«E come facciamo? L'unico modo che mi viene in mente per farlo è Rose», disse Kirk, rigirandosi come sempre il coltellino tra le mani, come se vedesse ogni volta nuovi segreti.

Mi irrigidii un po'.

«Non la metteremo in pericolo. È escluso», decretò Jackson, fissandolo come un serpente pronto a scattare.

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