27. Il gioco continua

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Dovevo decisamente sentirmi in colpa per quello che avevo fatto, anzi che Jackson mi aveva fatto, rendendola una delle esperienze più belle che avessi avuto

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Dovevo decisamente sentirmi in colpa per quello che avevo fatto, anzi che Jackson mi aveva fatto, rendendola una delle esperienze più belle che avessi avuto. Eppure non ci riuscivo proprio, mi sentivo così libera di poter fare ciò che realmente volevo, da non avere neanche un briciolo di rimorso.

Prima di fidanzarmi con Travis già sapevo che le sue attenzioni non erano prettamente per interesse emotivo, ma c'era lo zampino di suo padre e del mio. Sapevo sin dall'inizio che dovevo stare con lui a qualsiasi "costo", mio padre me l'aveva detto chiaramente. Così avevo provato a farmelo piacere, dovevo farmelo piacere, ma non avevamo niente in comune ed era una cosa che faticavo ad accettare. La bellezza non gli mancava, ma era privo di qualsiasi cosa potesse interessarmi.

Perciò non mi sentivo in colpa. Ero costretta a stare con lui e lui con me. E non mi feci nessuno scrupolo quando guardai Jackson, che mi fissava bramoso.

Avevo ancora il vestito alzato, che formava un cespuglio tutt'attorno per quanto tulle ci fosse al di sotto, ma avevo abbassato le gambe sentendomi a disagio con lui. Il seno era ancora in bella vista e non ci misi molto ad alzarmi il corpetto prima che qualcuno potesse entrare e vedermi in quelle condizioni davanti a lui. Probabilmente ero rossa in viso, sia per l'orgasmo appena avuto sia per la vergogna che provavo dopo aver ansimato, gemuto e pregato che continuasse a toccarmi.

«Ehm... grazie», dissi d'impulso e mi pentii nello stesso istante per aver aperto bocca. Stupida che non ero altro... in quel momento ai suoi occhi dovevo sembrare una ragazzina cretina che non avesse mai avuto esperienze di quel tipo, ingenua e malleabile.

Lui strinse le labbra l'una contro l'altra, sopprimendo una risata e notando una scintilla divertita nel suo sguardo. Volevo sprofondare. «Quando vuoi, Megan». Mi fece un occhiolino. Per fortuna era di buon umore quel giorno, magari glielo avevo migliorato io, perché lui di sicuro aveva stravolto il mio.

«Forse dovrei scendere alla festa». Cercai di non guardarlo più negli occhi, unica nota colorata in tutto il nero che lo circondava, dal completo ai capelli scuri e lucenti. Mi chiesi che prodotti usasse per renderli così morbidi.

Incrociò le braccia al petto, intento a non lasciarmi stare. Mi seguì in bagno, sentivo la sua presenza dietro di me e lo sguardo che bruciava sulla schiena semi scoperta.

Mi guardai allo specchio e con orrore vidi il trucco sbavato sia sugli occhi sia sulla bocca. I capelli spettinati e per di più il vestito strappato sul lato del corpetto. Quando mi mossi in avanti per prendere i contton fioc, che servivano per sistemare il nero dagli occhi, mi resi conto che non avevo più lo slip sotto il vestito. O meglio c'era, ma penzolava strappato dal pube e sul sedere.

«Che c'è?» sbottai a quel punto quando indirizzai l'attenzione alla mia guardia del corpo. Se ne stava appoggiato allo stipite della porta, guardandomi con uno strano sorrisetto che non gli avevo decisamente mai visto per così tanto tempo. Di solito se ne stava serio o con un cipiglio a renderlo comunque figo, ma quel ghigno malizioso lo rendeva perfetto.

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