31. L'eccezione

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I ricchi non andavano in ospedale quando si sentivano male, era l'ospedale che andava direttamente da loro

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I ricchi non andavano in ospedale quando si sentivano male, era l'ospedale che andava direttamente da loro. O almeno i Tanner sembravano avere in casa una equipe di medici ed infermieri. Di certo non avevano potuto allestire un'intera sala operatoria con alcuni lettini per i pazienti separati l'un l'altro da tendine blu, in meno di mezz'ora.

Quando ero arrivato non avevo capito niente in quella calca di personale impazzito e allo stesso tempo determinato nel svolgere il compito al meglio. Avevo chiesto delle informazioni e mi ero ritrovato in una stanza al piano terra che sembrava un ospedale in miniatura.

Megan era distesa sul lettino e guardava in maniera scocciata e annoiata il dottore che le parlava.

«Signorina, che le piaccia o no, lei ha avuto un attacco di panico». Dal tono di voce sembrava che quella fosse la centesima volta che ripetesse quella frase e guardando il cipiglio intestardito della bionda potetti immaginare il perché.

«No, non ho avuto un bel niente! La smetta di contraddirmi». Alzò gli occhi al cielo, sistemandosi meglio il lenzuolo bianco addosso. La pelle bianco latte sulla guance era più arrossata, ma il resto sembrava diventare un tutt'uno con i capelli chiarissimi e spettinati che le incorniciavano il viso. Anche le labbra non erano più rosee come sempre. Si vedeva che non stesse bene. «Mi sembra un po' esagerato tutto questo!»

Nella stanza c'erano anche Oscar e Luke. Il signor Tanner era al telefono e borbottava qualcosa che non riuscivo a capire lontano da tutti. Emanava vibrazioni potenti anche senza fare molto. Due infermiere controllavano la pressione e il monitoraggio dei macchinari di Megan, alle quali ogni tanto lanciava occhiate di fuoco.

Ormai era chiaro che odiasse trovarsi in quella situazione.

«La sua guardia del corpo ha detto che tremava compulsivamente e sembrava non sentisse neanche una parola di quel che le dicesse. Non respirava bene». Alle parole del dottore Megan strinse più forte i fili dell'ossigeno, che probabilmente si era strappata pur di dare a vedere che non le servissero affatto. «Sono sintomi di un attacco di panico».

Ancora non si era accorta di me, ero dalla parte del suo lato cieco, visto che era girata verso il medico dal camice bianco.

«Cos'è successo per l'esattezza?» chiesi a bassa voce e senza giri di parole ad Oscar. Appena gli fui accanto lui si riscosse subito dai suoi pensieri. Sembrava fissare il vuoto con così tanto ardore da avere una conversazione con trecento persone diverse nella sua testa. Forse provava a risolvere la questione che si era appena formata.

«Ah, sei qui. Bene. Tieni d'occhio la signorina Megan, noi andiamo ad esaminare la sua camera per trovare degli indizi». Ignorò la mia domanda. Se c'era una cosa che mi faceva imbestialire era proprio quella, nonostante fossi il campione nelle risposte mancate.

Lo presi per un braccio quando cercò di andare via con Luke e lui fissò la mia mano tatuata come fosse un insetto velenoso. «Ripeto. Cos'è successo?» Il mio tono non ammetteva repliche e tirai fuori un po' la durezza di quando mi calavo nei panni del ragazzaccio che aveva il mondo ai suoi piedi. Il suo mondo.

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