44. Il disegno

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Jackson

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Jackson

Ben presto avrei dovuto fare a meno dei vestiti neri, altrimenti il caldo mi avrebbe mangiato vivo.

Camminavo in una stradina della bassa Wealthill con quasi il fiatone, visto che quel giorno il sole picchiava più del solito. La maglietta era aderente e avevo decisamente sbagliato ad indossarla.

Almeno un po' d'aria traspirava per i pantaloncini di jeans che mi arrivavano un dito sopra il ginocchio, altrimenti potevo anche morire di caldo proprio in quel momento.

Avevo appuntamento con Tobias in un vecchio condominio prossimo alla demolizione.

Aveva lasciato la casa famiglia sotto mia minaccia. Non mi importava un accidente se lui lo ritenesse più sicuro, di certo non poteva mettere in pericolo di vita di quei poveri bambini.

Così si era trasferito, per modo di dire, in quel buco di posto, dicendomi che mi avrebbe fatto sapere tutti i suoi spostamenti. Aveva alle calcagna ancora gli scagnozzi di Reed e per ovvie ragioni non poteva né tornare più a casa sua né stabilirsi in un posto fisso.

Per di più quei bastardi controllavano anche me. Li vedevo ogni tanto sotto casa mia o di fronte l'orfanotrofio.

Se solo la mia volontà non fosse ferrea nel lasciarmi tutto quel mondo alle spalle, probabilmente li avrei cercati uno ad uno e gli avrei fatto ricordare come potevano essere brutali le mie mani quando mi facevano incazzare.

Sbuffai sonoramente quando salii al secondo piano dell'edificio. Tobias stava diventando una rogna con tutta quella storia e avrei tanto voluto che per una volta se la fosse cavata da solo, invece come al solito dovevo sistemare tutti i suoi casini del cazzo.

Per di più mi ero dovuto infilare in quella situazione con quella biondina eccitante, problematica e che mi faceva letteralmente impazzire. In tutti i sensi possibili.

Potevo sentire ancora il suo sapore sulle labbra, i suoi gemiti sommessi e i suoi baci così coinvolgenti. Mi dimenticavo sempre chi fossimo quando ero con lei, come se quel confine che avevamo tracciato anni a dietro non esistesse, fondendoci per quell'attimo di passione.

Be', forse era di più di un attimo...

In quei giorni avevo voluto evitarla e sapevo che se ne sarebbe accorta. Avevo delle cose da sistemare al negozio di tatuaggi e alcuni pranzo che il catering in cui lavoravo aveva accettato di partecipare. Ma il motivo principale era perché non volevo che si montasse la testa con il sesso, le carezze e i baci focosi.

Quella borghesotta si era infilata nella mia vita e non avevo potuto neanche controllarlo. Mi ero ritrovato solo a dover vedere i suoi capelli biondi, gli occhi azzurri e quel vitino stretto per tutti i giorni. Il fatto che mi stessi abituando alla sua presenza non andava per niente bene.

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