13. Rose e spine

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Megan

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Megan

Quel ragazzo mi confondeva e non poco. Doveva essere lunatico o bipolare, perché i suoi cambiamenti di umore non erano certo normali.

Forse si era impietosito quando aveva visto sgretolarmi davanti a lui e quella doveva essere la millesima volta che succedeva. Mi ero ripromessa di non rendermi così fragile davanti a lui mai più, ma a quanto sembrava non riuscivo a fare altrimenti.

Anche perché i miei attacchi di panico erano scaturiti sempre da più cose che si accumulavano. Solo il giorno prima avevo scoperto che Jackson poteva avere un'altra sorta di "amica" e che aveva mandato all'aria tutto quello che c'era stato tra di noi. Per di più mi aveva schiacciato sul pavimento per bloccare la mia rabbia ed io avevo ricordato quando Tanner aveva fatto la stessa cosa, provando ad uccidermi.

C'erano stati diversi flash nella mia testa e non avrei saputo dire quali mi avessero fatto più male. Così ero andata in panico, non avevo capito più nulla e avevo finito per ritornare la ragazzina debole che lui aveva odiato sin da subito.

Ma poi mi aveva sorpreso, mi aveva portato fuori ed io... ero stata veramente bene. Mi era piaciuto il parco giochi, anche se piccolo e quasi al buio. Ero ritornata per un momento bambina ed ero salita per la prima volta sull'altalena. Avevo parlato con Jack e lui mi aveva rivelato squarci del suo passato così preziosi che li avrei tenuti gelosamente sempre per me.

Era stato un toccasana per me la sera precedente. Mi sembrava davvero di aver iniziato a respirare solo in quel momento, affianco a lui e con la notte che ci nascondeva dal resto.

Sospirai al ricordo e infilai un leggings a vita alta, un top morbido da corsa e mi feci una treccia.

Quel giorno avevo allenamento con Jackson e l'ultima cosa che volevo fare era proprio vederlo. Non riuscivo a dimenticarlo e quello ormai era più che ovvio, ma la volontà da parte mia c'era. Però vederlo tutti i giorni non aiutava per niente.

Scesi al piano inferiore e salutai con un cenno del capo alcune persone. Forse si erano abituati ormai alla mia presenza, ma proprio non avevano buon occhio per me.

Non ci facevo neanche più caso.

Passai per la mensa e salutai velocemente Aaron e Tami che stavano facendo colazione.

«Primo giorno senza di me... riuscirai a non piangere?» Mi disse il biondo mentre sorseggiava il suo caffè, ma scrutandomi meglio aggiunse: «qualcosa mi dice che farai piangere lui».

«Figuriamoci, quel ragazzo è senza anima». Alzò gli occhi al cielo Tami, che attentava una fetta di pane con burro e marmellata.

Tu non sai niente di lui, avrei voluto sibilarle, ma in fin dei conti ne sapevo quanto lei.

«Vado e tu cerca di farti ricostruire l'osso in fretta», dissi ad Aaron, già sapendo che senza di lui sarebbe stata una vera tortura.

Lui mi fece l'occhiolino e lasciai la mensa.

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