26. Perfezione

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Megan

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Megan

«Megan! Ma quanto ci vuole ancora?» Sentii Travis sbuffare sonoramente dalla mia camera, mentre io ero ancora in bagno, intenta nel tracciare una linea perfetta di eye-liner sugli occhi.

«Ho quasi fatto!», esclamai di rimando, prendendomi in realtà tutto il tempo del mondo e iniziando solo in quel momento a decorare l'altro occhio.

«Se non ti sbrighi scendo da solo, mi trovo la prima ragazza libera e sto per tutta la serata con lei», mi minacciò, facendo capolino dalla porta e fissandomi avvilito. Anche lui era un maniaco del controllo, non faceva mai ritardo, o almeno era sempre puntuale agli appuntamenti che gli interessavano davvero. E quella sera guarda caso c'era un imprenditore che suo padre voleva fargli conoscere e non vedeva l'ora di incontrarlo.

A casa mia, villa Tanner, si teneva per la centocinquantesima volta il Ballo di Primavera. Era una tradizione che andava avanti di generazione in generazione e cadeva il primo di aprile, quando anni or sono il sindaco della nostra città aveva sposato una principessa. Allora era considerato un evento sfavillante, tutta la città era in subbuglio, ma in realtà non era poi chissà che cosa. Quella principessa era l'ultima delle sorelle, con una dote scarsa e probabilmente il re non sapeva a chi appiopparla.

Quindi da allora ogni famiglia della città metteva a disposizione la sua lussuosa villa per ospitare il Ballo di Primavera, nel quale si cercava di trovare un buon partito per le proprie figlie. Ma si rendevano conto che ai ragazzi di oggi non interessava il matrimonio a quell'età? Pensavano al sesso, a divertirsi, non a mettere su famiglia.

La serata si svolgeva in quel modo: trovare una compagna/compagno con il quale trascorrere tutta la serata, ballarci, conversarci per tutto il tempo e poi se la scintilla fosse scattata di solito uno contattava l'altro. Generalmente il ragazzo faceva il primo passo, ma le ragazze dell'alta Wealthill erano un po' strane e pur di accaparrarsi il ragazzo più ricco facevano di tutto. E sì, ero una di loro.

«E questo che diamine significa?», sbottai girandomi verso di lui con metà trucco sul viso e un'espressione che non doveva esser piacevole da guardare.

«Sai che dobbiamo restare in coppia per tutta la serata, ma con il tuo ritardo non mi stai aiutando a...» Si sistemò stizzito i gemelli d'oro infilati nella camicia grigio chiaro, non volendo incrociare il mio sguardo e capendo che aveva appena detto qualcosa di sbagliato.

«Che cosa? A concludere un affare?» Lo rimbeccai acida.

Solo a quel punto mi guardò. «Già, la vita non è fatta solo di feste e balli, bisogna pensare anche al lavoro».

Scoppiai a ridere, di gusto e anche in maniera falsa. «Travis, tu non lavori! Ti sei messo in testa che vuoi seguire tutto quello che tuo padre fa, ma in realtà non fai niente! Smettila con questa pagliacciata!» mi uscì di getto, essendo veramente esasperata dalla situazione.

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