8. Alea iacta est

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Il mio piano era semplice

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Il mio piano era semplice. Be', ci avevo pensato tutta la notte e avevo architettato tutto affinché lo diventasse.

Mi stavo facendo prendere troppo la mano? Sì. Me ne sarei pentita? Sì, di nuovo. L'avrei rifatto solo per vedere la sua faccia? Cazzo, sì.

Non sapevo cosa diamine mi prendesse, ma avevo questo senso di rivalsa che doveva venir fuori a tutti i costi... mi sentivo vendicativa e forse volevo fargli passare in un modo o nell'altro tutto quello che lui aveva fatto passare a me con il suo rifiuto e la sua assenza.

Gli stavo dando troppa importanza, lo sapevo. Però come potevo fargliela passare liscia dopo la farina? L'avevo ritrovata anche nelle mutande e non sapevo proprio come cazzo ci fosse finita.

«Sei distratta», disse Reed dopo un po'.

Eravamo nel suo studio, nel quale lui passava la maggior parte del tempo, che fosse a leggere o pianificare per filo e per segno tutti i suoi piani illegali. Per essere un criminale in realtà sembrava piuttosto innocuo o forse lo intenerivo io che ero sua figlia.

Dalla sua gente era rispettato e non temuto (be', più o meno) e quello la diceva lunga su che tipo di persona fosse.

Mi piaceva e non avrei mai pensato di ammettere una cosa del genere su qualcuno come loro qualche mese fa...

Be', neanche scopartelo e poi innamorarti di lui se proprio la vogliamo dire tutta...

Mi schiarii la voce. «Cosa te lo fa pensare?» chiedi mettendomi più comoda sulla poltrona che era affianco la piccola libreria.

«È da mezz'ora che non giri pagina».

Se n'era accorto?! Per essere un genio del crimine doveva per forza. Non era uno che si lasciava sfuggire i dettagli lui.

Avevamo preso l'abitudine di leggere insieme, cioè in realtà all'inizio mi era stata imposta la sua presenza e solo dopo con il tempo avevo deciso di riempire quegli spazi con qualcosa che piacesse ad entrambi. Avevo già detto che all'inizio non avevo fatto altro che stare rinchiusa in camera a deprimermi su quanto facesse schifo la mia vita e lui dopo due settimana in quello stato aveva deciso di tirarmi fuori, imponendomi la sua presenza e dicendo che non aveva intenzione di sprecare più tempo senza di me.

L'avevo guardato sospettoso all'inizio, anche perché dopo tutto quel casino con Tanner ero decisamente più che scettica verso qualsiasi dimostrazione d'affetto. E quella di Reed, anche se prepotente e detta con un sibilo velenoso, lo era eccome. Avevo letto tra le righe.

E così era subentrata la lettura. Nella sua libreria c'erano un po' di fantasy storici che non avevo mai letto e mi ero mostrata subito interessata non appena avevo visto i dorsi delle copertine. Mi aveva un po' sbloccato quello spazio che ci ritagliavamo per noi e spesso non dovevamo neanche parlare, ormai era diventata un'abitudine.

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