hospital

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Solo il ticchettio fastidioso, il rumore dei passi, i sussurri che parlano di fatti orribili successi oggi e i pianti.

Gli ospedali tramandano di tristezza.
O per lo meno, non tristezza.

Preoccupazione, ansia.

Non trovo tristezza in ciò. Non sento tristezza in queste cose.

Solo preoccupazione o ansia.

Oppure dispiacere. Parole sempre sulla stessa linea.

Perché tristezza è tre linee sopra.

La sedia, azzurro chiaro. intonata al pavimento e ai muri bianchi, essi abbelliti da qualche triste cartellone medico. È scomoda, cigolante, e mette un senso malinconico.

E credo che Marco pensi lo stesso, anche perché l'ho visto più volte alzarsi o cambiare posizione.

Esce un dottore, dalla sala, non è il primo che esce, e neanche il primo ad essere entrato precedentemente.

Escono ed entrano continuamente dottori da quella sala.

Si guarda attorno attorno.

<Mi scusi, ci sono notizie?> Per la quarta volta, chiede Marco, al dottore uscito.

<Oh, si. Abbiamo appena finito, uno di voi due e maggiorenne? Mi servirebbe che qualcuno firmi questi fogli, una persona imparentata con la signora> chiede il medico, con un mazzetto di fogli ed una penna nera e argento in mano. Una delle tre attaccate al taschino del suo camice bianco.

<io lo sono, posso firmare io> intervengo, alzandomi, e sentendo il cigolio strozzato della sedia.

<Va bene, venga nel mio studio, così che io Le possa parlare.> dice, guardando un attimo i fogli e girandosi, per poi camminare lungo il triste corridoio.

Guardo Marco <non ti muovere di qui torno subito> dico, per poi seguire il dottore che mi porta in una stanza. Con presente una scrivania, riempita di oggetti. E poi più distante un lettino bianco, un armadietto un mobile e altri vari oggetti.

Erano presenti tre sedie, due davanti e una dietro la scrivania.

<La prego, si accomodi> indica una delle due sedie, queste diverse, e più comode delle altre.

Mi siedo.

<Prima di firmare lasci che Le dica le condizioni della donna> gira un attimo i foglie leggendo e rileggendo.
-
Esco da quella sala veramente... Non so. Non trovo il termine adatto.

Stupito? Preoccupato? Stressato? Stanco?

Non so, so solo che uscì.

Torno da Marco.

<Allora? Che ha detto? Che ti ha fatto firmare?> chiede, alzandosi subito da una delle sedie.

<Niente solo.. solo..> davvero? Dovevo davvero dirlo ha un ragazzino di 15 anni? Non so come ci potrebbe rimanere.

Sospiro, non ho chance, non ho idea di cosa fare e dire...

<Ha un tumore, ma sinceramente adesso non ne voglio parlare. Andiamo a casa?>

<Oh> rimane un attimo così, in bilico di emozioni, in silenzio.

Il silenzio vaga per minuti e minuti. I suoi occhi sono lucidi.

<N-non possiamo vederla?> chiede, la voce incrinata sul punto di scoppiare in un forte pianto.

<No> uso il tono più gentile che ho, mentre i miei occhi si fanno lucidi. Mi giro e mi dirigo verso l'uscita dell'ospedale seguito da Marco.

Heat Where stories live. Discover now