Capitolo 5•

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•Austin

Qualche ora prima mi giro e rigiro nel letto apro gli occhi di scatto, sento il battito accelerato.  Allungo il braccio per afferrare il cellulare segna le 3:20 e ancora notte fonda, mi alzo dal letto a causa di questa insonnia del cazzo. Mi avvicino alla sedia che si trova difronte al mio letto, afferro i vestiti che avevo già preparato e infilo i pantaloni della tuta grigia e la maglia per uscire e fare la mia solita corsa. Esco di casa l'aria fresca di metà settembre mi prende in pieno viso,  inizio a correre sul marciapiede illuminato dalle luci dei lampioni

E una routine alla quale ormai sono abituato, mi basta correre anche solo per un ora, due. Riesco a calmare i nervi tesi provocati dagli incubi.
Questa insonnia va avanti da più di due anni prima fumavo erba e altre sostanze di merda, mi scolavo intere bottiglie di alcool pur di dimenticare.
Decisi di smettere nel momento in cui questo ha portato la morte della persona a cui tenevo di più mio fratello landon, probabilmente a quest'ora sarebbe ancora qui.

Rientro sono le 5:40 ho corso più del dovuto avevo un bel po da scaricare. Mi infilo sotto la doccia e ci resto qualche minuto, ho già preparato il borsone dato che nel weekend dormo da Nathan pur di non incrociare quello stronzo di mio padre.

Ci evitiamo a vicenda, trascorriamo tutta la settimana da soli io e mia madre. Mentre lui vive a New York. Viene qui solo nel weekend, raramente e direi che è un bene perché la sua presenza non la tollero, mi da la nausea. Non abbiamo nessun tipo di rapporto l'unico legame che abbiamo e quello sanguigno che a mio parere non conta un cazzo.

Io, mio fratello e mia madre, ci traferimmo di nuovo qui, dopo che lei chiese il divorzio. Esattamente cinque anni fa.

Nathan è come un fratello per me, anche quando mi trovavo a New York ci sentivamo spesso venivo a trovarlo quando potevo.
Conosce tutto di me ogni mio punto debole ogni mio pensiero, l'unica cosa che però non sa e la verità, una verità che nessuno vorrebbe sentire. Una verità che ti distrugge che porto con me pur di non ferire altre persone. Se lo dicessi probabilmente nessuno mi crederebbe.

È stato un punto di riferimento per me un ancora su cui aggrapparmi quando la mia vita è sprofondata in un abisso senza uscita. Non avevo nessuno.

Prendo una tuta nera della Nike, infilo le ultime cose nel borsone per poi caricarlo in spalla. Mi dirigo verso il frigo e ci attacco sopra il solito bigliettino che lascio a mia madre per avvisarla.
Afferro le chiavi della macchina e mi dirigo da Nathan.

Una volta arrivato busso il campanello quando ad accogliermi c'è mia zia Carol la somiglianza che ha con mio padre è assurda. A volte mi ricorda lui. Capelli biondi raccolti in una coda, pelle ambrata e gli occhi di un grigio profondo.

<<Ciao tesoro! Vieni entra Nathan e di sopra>> Faccio un sorriso svogliato e sempre contenta di vedermi anche io lo sono ma tendo a nascondere ogni mia emozione seppur lieve.
Mi fa segno di entrare pogiandomi una mano sulla spalla con un gesto delicato e gentile.
<<Hai già fatto colazione? Di la ci sono i pancake>>

<<Sono a posto grazie, senti io vado di sopra poso le mie cose>> la congedo con freddezza, e ormai abituata a vedermi così scostante annuisce e mi affretto a salire per le scale. Imbocco il corridoio e mi avvio per la camera di Nathan. Un quadro appeso alla parete proprio difronte a me attira la mia attenzione. Una foto in cui sono raffigurati mia zia e lui ad un età adolescenziale. Sono entrambi su un altalena felici, sento la mascella irrigidirsi come tutti i muscoli del corpo, stringo i pugni lungo i fianchi. L'unica cosa che riesco a provare e all'odio che nutro verso di lui anche solo guardandolo in una foto.

Ad interrompere il momento e Nathan <<Ti sei imbambolato idiota? Muoviti o faremo tardi>> Distolgo lo sguardo da quel quadro rilassando tutti i muscoli del corpo e mi dirigo in camera di Nathan. Poso il borsone sul materasso gonfiabile già preparato che sarà il mio letto ogni weekend.

SunsetWhere stories live. Discover now