30. Cicatrici

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"Scendi" gli intimó. Geto sentì i lombi scaldarsi a quell'ordine.
Niente da fare: erano passati anni, almeno una decina, ma la fiamma che lo bruciava vivo tutte le volte che lo vedeva sembrava non essersi mai esaurita. Fece cenno a Choso di aspettare, e aprì la portiera.
"Spostiamoci". Gli indicò una via laterale e gli fece cenno di seguirlo.

"Che ci fate davanti a casa di mia sorella?"
Geto si strinse nelle spalle. Come aveva fatto quello stronzo a trovarli subito? Ora doveva inventarsi una scusa, e in fretta.
"Stiamo controllando che non entrino i ladri intanto che non c'è nessuno" inventò. Non era particolarmente credibile, ma non gli importava granché. Infilò una mano in tasca cercando l'accendino.
"Che premurosi" lo canzonò l'altro. Incrociò le braccia. "Vuoi farmi credere che tutte le volte che Yuji e Y/N sono via, voi gli fate da antifurto personale?"
Suguru scrollò le spalle. "Solo quando ci viene chiesto. Non capisco, dovrebbe farti piacere".
Se doveva essere sincero non si stava impegnando particolarmente in quella conversazione. Era di fronte a Gojo, questa volta il Gojo giusto, e voleva prolungare il più possibile quel momento. Lasciò passare qualche secondo di silenzio, e continuò.
"Guarda che non c'è niente da dire. Oggi ho accompagnato tua sorella a farsi un weekend via. Mi han detto che non ha la macchina".
"Ah, sì? E perché non l'ha chiesto a me?"
Geto si strinse nelle spalle. "Chiedilo a lei, scusa".
"É quello che sto provando a fare da tre ore!" urlò Satoru, improvvisamente furibondo. Un paio di persone si girarono verso di loro, le sopracciglia alzate.
"Su, su. Non capisco di che ti preoccupi. Con lui è in una botte di ferro". Fece scattare la molla dell'accendino e lo chiuse con un movimento secco del polso. Sapeva quanto quel gesto piacesse a Satoru, e osservò la reazione con la coda dell'occhio.
Ma Satoru non sembrava volergli dare soddisfazione. Si era sistemato gli occhiali da sole, impedendo all'altro di sapere cosa stesse guardando.
"In una botte di ferro, con lui!?"
Geto alzò un sopracciglio, restituendogli la solita espressione annoiata. "Perché no? Guarda che se odia te non significa che odi tutti gli altri, sai".
Gojo alzó le braccia, sconfitto. Un conto era parlare con Sukuna, un altro era trovarsi di fronte l'amore di una vita e parlargli come se niente fosse, senza riesumare tutto quello che era successo. Scosse la testa, sconsolato.
"Perché fai così...?" mugugnò, massaggiandosi le tempie.
"...Se ti ci impegni lo indovini". Beh, finalmente qualcosa stava andando secondo i piani: se per ottenere la sua vedetta doveva far leva sulla sorella, poco male. Era pur sempre il suo punto debole.
Aspettò una risposta che non arrivò, e sorrise fra sé e sé.
"Sukuna è una brava persona, sai. È ricco, ha un bel lavoro..." non poté frenare un ghigno, mentre indicava con la mano l'appartamento. "...Ingaggia degli uomini per controllare le case delle sue amanti...."
Gojo sentì le unghie affondargli nei palmi. "Stai zitto" sibilò. "L'hai sempre odiato, e ora..."
"...E ora abbiamo un nemico in comune". Geto lo trapassò con lo sguardo. "Quindi lavoro per lui".
Contrariamente a quello che pensava, Satoru gli appoggió una mano sulla spalla. "Ascoltami". Geto alzò lo sguardo, improvvisamente serio, e annuì per incoraggiarlo. "Tu pensi che... Che Sukuna, stia usando mia sorella per..."
Niente da fare, non riusciva nemmeno a formulare quella frase. Quell'ipotesi.
Per un momento, Suguru provò pena per lui. Gli dispiacque sinceramente... Per un momento.
Alzò le spalle, cacciando fuori la lingua in quella espressione buffa che dava tanto sui nervi al suo ex.
"E io che ne so, scusa...? C'è la possibilità".




Sukuna inspirò a pieni polmoni l'aria carica di vapore. Che goduria.
Appoggiò la testa sull'asciugamano arrotolato a bordo vasca. Da quanto tempo non si rilassava così?
Una goccia di sudore salato gli percorse la tempia. Strizzò gli occhi, cercando di farla cadere.
Certo che era davvero un paradiso, lì. La neve aveva coperto tutto come una coltre gelida, ma in qualche modo era accogliente. Non sembrava nemmeno che facesse freddo.
Alla sua destra, la ragazza si stava muovendo nel sonno. Era rischioso addormentarsi in un onsen, era meglio se la teneva d'occhio.
Gettò uno sguardo sulla sua pelle arrossata. Sembrava tranquilla, nonostante quello che le aveva appena fatto.
'Meglio così'.
Alzò il braccio: le sue vene sporgenti e i polpastrelli raggrinziti gli stavano chiaramente dicendo che era il momento di uscire. Sbuffò, e scosse Y/N per svegliarla.
"Hey, piccola, andiamo. Se stai qua ancora dieci minuti svieni".

Just wanna smash his faceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora