CAPITOLO DICIASSETTESIMO - parte 1

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Allyson aprì gli occhi lentamente, muovendo a fatica un paio di palpebre che le parevano essere diventate molto più pesanti del solito. Dapprima, ciò che riuscì a distinguere non fu altro che una grossa macchia bianca e sfocata, finché poi pian piano non fu riuscita a mettere a fuoco tutto ciò che la circondava: un soffitto bianco, un finestrone chiuso sulla sinistra, un piccolo mobile alla sua destra. Sollevò la testa staccandola dal cuscino con grande fatica e guardò in basso; era distesa su un letto, e coperta parzialmente da un lenzuolo bianco. Una flebo era stata attaccata al suo braccio sinistro nella cui vena, tramite un tubicino, veniva iniettato un liquido trasparente a piccole dosi.
La ragazza sollevò la schiena guardandosi intorno con maggiore attenzione: c'erano altri due letti in quella stessa stanza: uno occupato da un anziano signore, l'altro libero. Si trovava chiaramente all'interno della camerata di un ospedale, ma era chiaro che non si trattasse della clinica psichiatrica.
Con la mente ripercorse gli ultimi avvenimenti che riusciva a ricordare, nonostante la forte confusione mentale che stava sperimentando, quando all'improvviso una infermiera entrò nella stanza aprendo la porta con delicatezza. -Ben svegliata!- le disse sorridendo, non appena si rese conto che si era svegliata. -Come ti senti, Allyson?-.
La ragazza non rispose, ma portò una mano alla tempia aggrottando la fronte; era confusa e spossata ed impiegò ancora diversi secondi prima di riuscire a ricordare lucidamente cosa le fosse accaduto prima di risvegliarsi in quel letto: Jeff, l'ambulanza, la polizia. Era svenuta improvvisamente nel piazzale antistante la struttura.
Annaspando strinse i pugni sul lenzuolo bianco che era stato adagiato sul suo corpo. -Come sta Jeff?!- chiese subito, rizzando il collo. Ogni muscolo del suo corpo era dolorante, il cuore scalpitava affaticato.
-Si calmi- le rispose l'infermiera, poggiandole le mani sulle spalle -Deve stare a riposo, adesso-.
Ma Ally si divincolò allontanandosi per quel che le era possibile. -Dov'è lui adesso?- chiese, senza neanche accorgersi di aver alzato la voce. Desiderava più di ogni altra cosa una risposta a quella domanda, seppur fosse terrorizzata da ciò che avrebbe potuto sentirsi dire.
-Allyson, stai calma- le intimò ancora l'infermiera, sorridendo. -Qui sei al sicuro. Sappiamo cosa avete passato tu e gli altri là dentro, ma adesso è tutto finito-. Con una mano carezzò dolcemente la sua testa, come farebbe una madre preoccupata per la salute della figlia. -Sei molto debilitata, hai bisogno di recuperare le energie-.
-Lei non capisce!- gridò infine la ragazza, logorata dall'ansia e dalla rabbia; non le importava nulla di tutto questo. -C'era un ragazzo con me, quando mi hanno portata in salvo!- tentò di spiegare, con il fiato corto. -Dove l'hanno portato?-.
Capendo che quello fosse l'unico modo per indurre la paziente a calmarsi, alla fine la donna decise di darle ascolto. -Non posso  saperlo, sono state prelevate moltissime persone dalla clinica... E non tutti sono stati assegnati a questo reparto-.
Allyson abbassò lo sguardo, stringendo le mandibole.
-Ma posso chiedere al capo sala- aggiunse la donna, allargando un altro amichevole sorriso. -Chi è questo ragazzo?-.
-Era con me...- farfugliò Allyson, senza alzare la testa. -Si chiama Jeff, non conosco il suo cognome... Ha i capelli neri, e il volto... Ha... Ha una cicatrice sul volto...-.
-Bene- disse l'infermiera. -Ti farò sapere presto, ma adesso dobbiamo pensare a te-.
-A me?-.
-Sì, certo. Come ti senti?-. Mentre le domandava questo, la donna applicava al suo braccio sinistro un misuratore di pressione sanguigna. 
La ragazza si stropicciò gli occhi, poi lasciò cadere la mano sul materasso. -Abbastanza bene, credo- mormorò.
L'infermiera annuì brevemente, iniziando ad armeggiare con la sacca della flebo. -Bene. Senti dolore da qualche parte?-.
-I muscoli... Mi fanno male i muscoli-. Allyson trattenne il fiato per qualche attimo, tentando di placare l'ansia che sentiva crescere dentro di lei. -E... anche un po' tutto il resto- ammise.
La donna annuì ancora. -Il tuo corpo è fortemente debilitato, Allyson. Stiamo reintegrando quello di cui hai bisogno per stare meglio-. Tacque per qualche secondo mentre scriveva qualcosa in un taccuino, prima di tornare a rivolgere uno sguardo rassicurante alla ragazza. -Abbiamo contattato i tuoi genitori- le annunciò, sorridendo.
Ally sollevò la testa di scatto, con gli occhi spalancati. -I miei genitori?- ripeté, annaspando.
-Sì, certo. Saranno già in viaggio, ormai. Stanno venendo qui-.
Pensando a mamma e papà nascevano nella mente della ragazza una miriade di emozioni contrastanti; da una parte provava un'immensa rabbia nei loro confronti per averla spedita in quel posto ed averle causato, seppur indirettamente, tutto il dolore che vi aveva vissuto; ma dall'altra si sentiva immensamente felice alla sola idea di poterli rivedere.
Si lasciò cadere con la schiena sul materasso, e sprofondò nuovamente la testa sul cuscino; aveva ormai realizzato lucidamente che quell'inferno era finito e che presto sarebbe tornata a casa, ma non riusciva a percepire il sollievo che avrebbe voluto provare. Non poteva fare a meno di chiedersi se Jeff fosse sopravvissuto, e non avrebbe avuto pace fino a che non lo avrebbe rivisto.

Bad - Seconda parteWhere stories live. Discover now