CAPITOLO DICIANNOVESIMO - parte 2

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Tre settimane dopo...

-Non puoi capire quanto sia felice, Ally!- esclamò Natalie, che sorrideva davanti alla webcam mentre cercava invano di mantenere il suo volto al centro dell'inquadratura seppur continuasse a muoversi. -Toby verrà a stare a casa dei miei per qualche giorno! Mia madre dice che lo trova simpatico!-.
Allyson sorrise lievemente a sua volta, impugnando lo smartphone più saldamente. Siccome le due amiche abitavano molto lontane, avevano deciso di continuare a frequentarsi con mezzi alternativi, ed eventualmente incontrarsi ogni tanto a metà strada. Allo stesso modo, anche con il resto del gruppo avevano entrambe mantenuto assidui contatti virtuali. -Che fortuna... Che ne pensa tuo padre?-.
-Mi sembra piuttosto indifferente riguardo alla questione- rispose l'altra. -Ma è contento che io sia tornata a casa, e forse è per questo che mi fa fare tutto ciò che voglio!-.
-Cerca di non viziarti troppo...- ironizzò Ally.
Clock scoppiò in una fragorosa risata. -A te come va, stai meglio?- chiese poi, assumendo improvvisamente un'espressione molto più seria, e decidendosi finalmente a poggiare il laptop sulla scrivania.
-Più o meno...- rispose vaga Ally, stringendo le labbra. -Diciamo di si...-.
Natalie annuì e fece un piccolo sorriso: da quando erano entrambe tornate a casa l'altra evitava come la peste ogni argomento che riguardasse anche solo in minima parte il suo stato di salute, fisico o mentale che fosse. -Hai sentito gli altri, oggi?- chiese ancora.
L'altra fece scorrere le dita di una mano tra i capelli. -Solo Brian, per ora...-.
-Beh, se più tardi li senti manda i miei saluti... Ho quasi finito i giga ed ho voluto spendere quello che mi sono rimasti per parlare con te!-.
Sul volto di Natalie adesso brillava una luce completamente nuova, e quando sorrideva lo faceva semplicemente perché era felice, e non più per guadagnarsi l'affetto degli altri. Oramai non aveva più alcun dubbio sulla sincerità che Allyson, Toby e gli altri mostravano nei suoi confronti ed aver mantenuto i rapporti più o meno con tutti quanti la faceva sentire finalmente accettata dal mondo, parte integrante di un qualcosa molto più grande.
Anche Brian aveva riscontrato dei benefici nel rientro a casa, ed era in terapia ormai da una settimana con un nuovo psichiatra privato, che pareva essere in grado di aiutarlo davvero. Tim, invece, era stato messo in lista per un secondo breve ricovero presso una rinomata clinica al nord, con il solo obbiettivo di inquadrare una corretta cura farmacologica mirata ai suoi disturbi.
Allyson forse l'unica del gruppo che non era riuscita a trarre una nuova forza da quello che aveva vissuto, seppur si sforzasse con tutta se stessa di migliorare la sua condizione psicologica e, come si dice, metterci una pietra sopra. Quella sera si sforzò di mettere in bocca quanto più cibo riuscì, incoraggiata dal fatti che si trattasse di alimenti a basso contenuto calorico, sotto gli occhi attenti ed orgogliosi dei suoi genitori. Da quando era tornata a casa il loro rapporto era migliorato molto, tanto che adesso mamma e papà si dedicavano quasi interamente a lei, spesso trascurando il lavoro ed i vari impegni. Avevano deciso di pagare un nuovo psicologo in forma privata, dal quale Allyson andava in cura tre volte alla settimana, e di farla seguire anche da un nutrizionista con la speranza di riuscire a ripristinare un regime alimentare più corretto. Ardua impresa, considerato che il suo corpo rigettava moltissimi alimenti, ed il suo stomaco si era ristretto al punto che riusciva a sentirsi completamente sazia con una semplice mela.
Lo specialista aveva assicurato che le cose sarebbero migliorate con il tempo, e in effetti la bilancia aveva già iniziato a segnalare un lento ma incoraggiante aumento di peso. Tuttavia, quel vuoto incolmabile nel cuore della ragazza continuava ad espandersi ed oramai era diventato una sorta di buco nero nel quale lei assopiva le emozioni. Non faceva che chiedersi dove si trovasse Jeff, se stesse bene, e se anche a lui capitava spesso di pensarla.
Il ricordo del suo sguardo e del suo odore martellava la sua mente in modo quasi costante, e neanche la psicoterapia pareva essere utile a scacciare il soffocante senso di colpa che la tormentava: non riusciva ad accettare il fatto di aver ottenuto una vita normale, serena, di essere circondata dall'affetto degli amici e dei suoi genitori mentre Jeff, rinchiuso chissà dove, era dovuto tornare a convivere con il silenzio della sua solitudine.
Cercando come faceva ogni sera di scacciar via i brutti pensieri, Allyson si distese sul letto e prese il bicchiere d'acqua che aveva poggiato sul comodino, per poi inghiottire una capsula. Il dottore aveva detto che la avrebbe aiutata a dormire, ed aveva ragione: solo grazie a quel farmaco riusciva a prendere sonno.
Sollevò le coperte e si distese comodamente, chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dalla piacevole sensazione di sicurezza che solo la sua camera da letto poteva donarle; il passare lento e costante del tempo fu scandito dal ritmo dolce del suo respiro.
Poi, d'un tratto, una sorta di fruscio proveniente dall'esterno la strappò via con violenza da quella beatitudine.
La ragazza aprì gli occhi e sbatté più volte le palpebre guardandosi intorno, senza riuscire a capire cosa avesse potuto generare quel rumore.
Un secondo fruscio fu udibile poco dopo, e questa volta le fu chiaro che provenisse dalla finestra.
Allyson cercò a tastoni l'interruttore della luce e la accese, poi si alzò in piedi stropicciandosi gli occhi; sospettava si trattasse di una rondine, dato che quegli uccelli avevano costruito un nido contro al muro della casa ed ogni anno proprio in quel periodo lo popolavano per dare alla luce i loro cuccioli.
Tuttavia, il fatto che quel rumore le fosse sembrato troppo forte per essere stato causato da una rondine, la spinse ad avvicinarsi alla finestra e controllare.
Girò la maniglia ed aprì lentamente, e non appena il suo sguardo riuscì a penetrare il buio all'esterno si rese conto di avere un volto davanti a se.
Un volto che avrebbe potuto riconoscere tra mille altri.
Un volto che finalmente sorrideva di gioia, e non di dolore.
-Jeff?!-.
Il ragazzo balzò dentro con agilità. Una felpa bianca, dall'aria vecchia ed usurata, copriva il suo torso asciutto ed i suoi capelli erano nascosti sotto al cappuccio sollevato.
-Non ci credo... Sei... Sei tu!- balbettò la ragazza portandosi le mani alla bocca. Era così sorpresa ed euforica che dapprima non riuscì a capire se stesse sognando, o quella fosse davvero la realtà.
Lui le rivolse uno sguardo strano ed infilò le mani in tasca con aria rilassata, e la guardò senza dire nulla.
-Sei... Sei riuscito a... Scappare?- chiese ancora Allu, che proprio non riusciva ad impedire alla sua voce di tremare.
Il killer annuì soddisfatto con un movimento della testa, ed ancor prima di riuscire ad aprir bocca fu letteralmente soffocato dall'abbraccio della ragazza, che si gettò sul suo collo stringendolo contro al petto con tutte le sue forze. -Oddio tu non... Tu non sai quanto io sia felice...- continuò a balbettare, riempiendosi le narici del suo odore.
Jeff non ricambiò quell'abbraccio; le relazioni umane non erano certo il suo forte, e non poteva che sentirsi fortemente a disagio per quanto averla vicina lo facesse stare bene. Nonostante questo, Allyson sentì chiaramente la sua testa poggiarsi sulla propria spalla, e farsi man mano più pesante.
Lo strinse più forte carezzando la sua schiena con la mano, ed in quel momento pensò che non lo avrebbe lasciato mai più.

Bad - Seconda parteWhere stories live. Discover now