CAPITOLO DICIANNOVESIMO - parte 1

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Il ragazzo si voltò in sua direzione, ed il suo sguardo assunse un'espressione che Allyson non riuscì ad identificare. -Come potrei mancarti?- chiese, con voce neutra.
Lei fece spallucce, abbassando lo sguardo con evidente imbarazzo. -Sei stato presente nel periodo più difficile e strano della mia vita... E... Ti devo un enorme favore- ammise, con un filo di voce. E non lo disse così per dire, ma perché ne era convinta: per quanto il loro incontro e quanto avevano vissuto insieme fossero state esperienze assolutamente traumatizzanti, sentiva di aver maturato nei suoi confronti uno strano quanto intenso sentimento di affetto.
Jeff tornò a voltare la testa verso il soffitto, e sorrise. Ma questa volta non fu solo una quasi impercettibile piega delle labbra: sorrise davvero, in modo spontaneo. -Beh... Mi mancherai anche tu- mormorò.
In quel momento lei strinse i pugni ed un brivido le attraversò il corpo come un fulmine a ciel sereno, intenso ed inaspettato. Quante cose avrebbe voluto dire adesso, ma non fu in grado di pronunciare una sola, misera sillaba. Fu forse la paura di sbagliare, di dire cose inopportune che la trattenne dal parlare.
-Sai..- disse ancora il killer dopo aver taciuto per diversi secondi, mentre spostava lo sguardo fuori dalla finestra -Ho ucciso la mia famiglia...-.
Quella frase risuonò nell'ambiente, spietata ed indifferente, facendo tremare le ginocchia di Allyson. Non fu scossa soltanto da quella spietata affermazione, ma soprattutto dal fatto che lui l'avesse pronunciata con una tale tranquillità.
-Li ho accoltellati tutti, uno ad uno. Mio padre, mia madre, mio fratello...- continuò Jeff, senza staccare gli occhi dal vetro della finestra, immobile come un manichino. -Non so perché l'ho fatto, ma accade il giorno in cui persi la testa. Da allora ho sentito il bisogno di uccidere ancora-. Dopo aver terminato quel breve racconto si voltò nuovamente in direzione della ragazza, e timidamente sorrise. In altre occasioni forse sarebbe stato estremamente compiaciuto di rendersi conto che la persona con la quale stava parlando stesse provando timore; ma adesso, sembrava non esservi alcuna vena di follia in lui, come se in qualche modo fosse stato in grado di reprimere ogni suo istinto malato e parlare con franchezza.
-Quindi si, sono un mostro, non ho alcun problema a riconoscerlo- concluse.
Allyson scosse la testa con decisione. -Tu non sei un mostro- ribatté prontamente.
-Senti, Allyson-. Jeff le puntò addosso i suoi occhi chiari, sinceri e penetranti tanto che pareva potesse scrutare la sua anima nascosta dentro a quel corpo così misero e malato.
-Vorrei ringraziarti-.
La ragazza scosse lievemente il capo ed aggrottò la fronte, trovandosi spiazzata. -Per cosa?- chiese.
-Beh, per tutto quanto- fece il moro, emettendo un sospiro. -Per tutto. È stato bello stare in tua compagnia, finché è durato...-.
Il killer strinse i pugni, riprendendo a fissare la lampada appesa al soffitto sopra di lui; forse avrebbe voluto dire qualcosa in più.
-Perché parli così?- disse Allyson. -Vedrai che possiamo continuare a vederci e...-.
Le parole della ragazza furono messe a tacere in modo improvviso dalla violenta quanto imprevista apertura della porta, che finì per sbattere contro alla parete creado un forte rumore. Entrò nella stanza un medico seguito da tre poliziotti, i quali immediatamente si allarmarono avendo notificato la presenza di una estranea all'interno della camera di Jeff The Killer.
-Si allontani subito, è un individuo pericoloso!- gridò il più vicino tra loro, afferrando la ragazza per una spalla e trascinandola indietro con il fine di allontanarla dal letto.
-Non toccatemi!- esclamò lei a gran voce, tentando invano di dimenarsi come poteva.
L'uomo in divisa lasciò la presa ed indietreggiò di un passo, forse perché si era reso conto delle condizioni di salute di Allyson e temeva che avrebbe potuto farle accidentalmente del male trattenendola. -Deve uscire da questa stanza. Subito!- le ordinò indicando la porta con una mano, mentre uno dei suoi colleghi si apprestava ad accompagnarla.
Ma lei, per niente spaventata, continuò a controbattere. Aspettate! Che cosa volete fare?-.
Fu a quel punto che il terzo agente di polizia, che era entrato nella stanza per ultimo, intervenne.
-Adesso basta..- ghignò. Si voltò verso gli altri due colleghi ed ordinò: -Portatela fuori-.
E questa volta, nonostante i continui tentativi Ally non riuscì a liberarsi dalla presa dei due uomini che, bloccandola entrambi per le spalle, la condussero fuori dalla porta. Riuscì solo ad incrociare lo sguardo di Jeff per un paio di secondi mentre veniva trascinata via con la forza, e vide in quei suoi occhi cosi straordinariamente chiari una tristezza che in alcun modo lui avrebbe potuto celare; eppure aveva ricambiato il suo sguardo senza dirle assolutamente niente.
-Non portatelo via!- gridò Allyson, che nel frattempo era stata liberata nel corridoio. -Non è cattivo!-. Si allontanò singhiozzando dai due poliziotti e roteò le spalle doloranti, cercando di trattenere le lacrime che stavano già riempiendo i suoi occhi.  -Dove... Dove vogliono portarlo?- balbettò ancora, con voce decisamente più calma. Aveva capito che, nonostante gli sforzi, non avrebbe potuto aiutare Jeff nella situazione in cui lui si trovava adesso; e fare una scenata nel corridoio dell'ospedale non le sarebbe stato d'aiuto.
-In psichiatria- rispose uno degli agenti, facendole gesto un con una mano per invitarla a stare calma. -In via provvisoria- aggiunse.
Ally sospirò e si ricompose, passandosi le mani sulla faccia. -Lui non..-.
-Senta- la interruppe a quel punto il dottore, che nel frattempo era sbucato fuori dalla porta chiusa. -Senti ragazza, posso immaginare che quanto hai vissuto in questi giorni ti abbia scossa molto... Ma quello qua dentro è un assassino, e per quanto mi riguarda non avrebbero neanche dovuto farlo ricoverare nel mio reparto-.  La guardò con aria a dir poco sprezzante, forse attendendo una risposta che però non giunse mai; poi, dopo una breve pausa, aggiunse: -Ora torna nella tua stanza, prima che i colleghi si accorgano che non ci sei-.
Allyson ebbe l'impressione che tutto il mondo le stesse cadendo addosso, schiacciandola e spezzando la sua anima in tante piccole schegge; nonostante tutto non avrebbe potuto fare nulla per aiutare Jeff. Aveva creduto che in qualche modo le cose si sarebbero sistemate anche per lui, eppure adesso che le le veniva sbattuta in faccia la verità ancora una volta  si rendeva conto di quanto quella speranza fosse stata debole e stupida.

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-Ally...- esclamò Tim quando la vide entrare in stanza. Capì subito che qualcosa di brutto doveva essere successo, perché non gli fu difficile notare delle lacrime sulle guance della ragazza che, lentamente, andava a sedersi sul letto senza dire uno straccio di parola.
Tentò di trattenere le emozioni, restando in silenzio con le palpebre chiuse; ma poco dopo, crollò.
Scoppiò a piangere con una mano premuta sul volto, lasciandosi trascinare via dallo sgomento e dallo sconforto. Il ragazzo fece un passo avanti e si fermò poco distante, non sapendo che cosa fare. Avrebbe voluto parlarle, ma temeva che qualsiasi domanda in quel momento sarebbe stata di troppo e così si limitò a mettersi a sedere accanto a lei, poggiandole una mano sulla spalla.
-Finirà sicuramente in prigione...- singhiozzò Allyson, curvando la schiena in avanti e puntando i gomiti sulle ginocchia.
Si abbandonò alla tristezza più profonda, sopportando a stento il dolore che stava stritolando il suo cuore; e tornò a sollevare la testa solo quando, diversi minuti dopo, qualcuno bussò alla porta della sua stanza.
Scambiandosi uno sguardo interrogativo con Tim osservò le due figure che stavano varcando con titubanza la soglia: si trattava di Dina e Brian. Il secondo, per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, non stava indossando il passamontagna; il suo volto era scoperto, decorato da una chioma di capelli castani molto arruffati, e da un lieve sorriso. 
-Ciao, Ally...- borbottò, visibilmente imbarazzato. Non si accorse subito che lei stava piangendo; Dina invece si.
-Che succede?- chiese la bionda, avvicinandosi al letto di Allyson. Si mise a sedere accanto a lei e le posò una mano sulla schiena, comportamento che non si addiceva affatto al suo carattere scontroso. -È per quel ragazzo? Jeff?-.
L'altra si limitò ad annuire con un debole cenno della testa, e tornò a rizzarsi in piedi, così confusa da riconoscere a malapena le persone attorno a lei.
-Allyson...- disse ancora Brian, sospirando. -Non poteva andare in altro modo, capisci? Non possono lasciarlo libero, è un criminale purtroppo...-.
-Hai già rivisto i tuoi genitori?- intervenne ancora Dina, intenta a cambiare discorso.
L'altra strinse le mandibole ed espirò. -Verranno a prendermi presto, e tornerò a casa-.
-Teniamoci tutti in contatto- intervenne a quel punto Tim, dando una pacca sulla spalla di Allyson.
Dina allargò un piccolo sorriso. -Bella idea- disse, puntando le mani sui fianchi. -Così potete continuare a rompermi le palle anche se saremo divisi!- ironizzò.
Gli altri due ridacchiarono, mentre Allyson rimase immobile a fissare le piastrelle del pavimento. Era sollevata dal fatto che quell'inferno fosse finito e che presto sarebbe tornata ad una vita normale, eppure si sentiva morire dentro.

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Capitolo dedicato a HeellFire.
E questa, ahimè, è l'ultima dedica, dato che il libro è ormai prossimo alla fine.

Bad - Seconda parteWhere stories live. Discover now