Prologo

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"A Myrer?"

Il consigliere davanti a lui dondolò sulle gambe, le mani nascoste dietro la schiena e gli occhi grandi e acquosi che continuavano a saettare da un punto all'altro della sala del trono, senza mai soffermarsi sulla figura del sovrano. Everett storse le labbra, le dita che tamburellavano sul bracciolo del trono in pietra seguendo il ritmo della pioggia battente sui vetri.

"Ebbene?" chiese di nuovo, facendo sobbalzare l'uomo.

"Mio signore, le ho solo riportato ciò che riferiscono le spie presenti nella città" rispose il consigliere, deglutendo. "Hanno avvistato una coppia la cui descrizione corrisponde a quella dei latitanti."

Everett rimase in silenzio, la mano sinistra intenta a grattarsi la corta barba. Nel corso dell'inverno appena passato i fuggiaschi erano stati avvistati più volte a Bergstad, l'ultimo faro prima dell'Oltre, ma non erano mai stati trovati né tantomeno catturati; quella notizia inaspettata riusciva a spiegare come fosse stato possibile un tale fallimento.

"Ma perché in una simile palude?" si chiese. "Una città importante nel mezzo della regione, sotto il controllo di Elias... È troppo disperata per essere una mossa da Cymneat."

Sbuffò infastidito, riportando l'attenzione sul consigliere. Represse a stento un grugnito nel notare quanto gli tremavano le gambe e il modo imbarazzante con cui si tratteneva dal battere i denti, le grinze del viso che ondeggiavano con un che capace di dargli la nausea.

"Non vi è stato riferito altro?" domandò con voce tagliente. "E datevi un minimo di contegno, per gli dèi!" aggiunse, sbattendo il palmo della mano sul bracciolo.

L'uomo spalancò gli occhi e, con visibile sforzo, si costrinse a rimanere composto davanti al re che, nel frattempo, aveva socchiuso le palpebre e appoggiato le lunghe dita sulle tempie, nel tentativo di ordinare tutti i pensieri affollatisi in testa; la possibilità di fallire un'ulteriore volta lo invitava a mettersi a urlare o a rompere qualcosa. Non poteva permettersi altri errori, non dopo tutto il tempo e il sangue che gli era costato quel maledetto trono.

"Mi è stata riferita un'altra informazione che ritengo vi possa interessare" rispose intanto il consigliere, la voce tremula.

Everett aprì di nuovo gli occhi e lo squadrò con attenzione, domandandosi per un attimo perché avesse permesso a quell'idiota di diventare uno dei suoi consiglieri personali. Quando l'aveva convocato gli era parso malleabile, qualcuno di semplice da controllare, ma al momento non riusciva a far altro che rimpiangere la sua scelta – più che malleabile, l'uomo appariva come un fragile codardo, e sapeva fin troppo bene quanto tale difetto potesse rivelarsi fatale. Avrebbe dovuto occuparsi di lui, ma innanzitutto aveva bisogno di sapere.

Il re si alzò e scese i tre gradini che lo sopraelevavano dal pavimento bigio e lucido della sala: giustizia, valore e temperanza, ovvero le poche virtù di cui i dragonieri si erano paventati per secoli. Quando aveva messo piede a Feluss, pronto a renderla la nuova capitale, era rimasto colpito dall'inaspettata struttura del trono; lo scranno austero, ricavato da un blocco di roccia e levigato da secoli di utilizzo, era contrapposto ai tre basamenti, decorati da fini bassorilievi di draghi dalle ali spalancate e le fauci aperte in un ruggito, posizionati in modo tale da farli sembrare intenti a proteggere i nomi delle virtù. Fino ad allora non aveva avuto cuore di eliminarlo, conscio anche del fatto che la nobiltà non avrebbe accettato un simile affronto, ma era certo che dopo la morte di Cymneat avrebbe potuto sbarazzarsene una volta per tutte.

"Cosa aspettate a riferirmele?" lo rimbeccò, fermandosi davanti al trono con le mani intrecciate sul ventre.

"Sono stati avvistati in compagnia di un bam-bambino."

"Come?" Everett si avvicinò al consigliere con uno scatto. "Un maschio?"

L'altro fece un paio di passi indietro. "Non hanno riferito il sesso" squittì, piegando il capo pallido.

Il sovrano sbuffò contrariato, allontanandosi da lui. Iniziò a percorrere con lunghe falcate la sala, la stanchezza che gli faceva tremare le mani; si fermò davanti alla finestra che dava sulla città, le braccia incrociate davanti al petto e lo sguardo che seguiva il profilo dei tetti di ardesia lavati dalla pioggia, dove qualche filo di fumo proveniente dai camini andava a confondersi con le nuvole scure. Cymneat aveva quindi un erede, un altro potenziale pericolo per il precario equilibrio che aveva creato lordandosi le mani di sangue; non poteva permettere che vivesse, né che i dragonieri trovassero il tempo necessario per usurpargli il trono conquistato con le sue sole forze.

Si allontanò dalla finestra con un sospiro, un tuono che fece tremare il vetro sottile. "Myrer, hanno detto? Ne siete certo?"

"Completamente certo."

Everett si diresse verso lo scranno, gli scalini che scivolarono sotto la suola dei calzari. C'era qualcosa di bizzarro e al contempo ironico nel fatto che avessero scelto di riportare le tre virtù in un punto dove sarebbero state sempre calpestate.

"Siete congedato. Non necessito più di alcuno dei vostri servigi" disse dopo essersi seduto, liquidando l'uomo con un gesto della mano. L'omuncolo si inchinò fino a sfiorare il pavimento col naso, in un modo talmente ossequioso da rivoltargli lo stomaco, e uscì dalla sala quanto più veloce le sue piccole gambe glielo permettessero; Everett si ritrovò a ghignare nel vederlo inciampare in una piega del tappeto che univa il trono all'uscio, per poi correre a chiudersi la porta alle spalle con un tonfo secco.

"Che idiota" mormorò, scuotendo la testa. Ormai era certo che avrebbe dovuto cercare qualcuno con cui sostituirlo, ma nel frattempo aveva questioni più urgenti a cui rivolgere la sua attenzione.

"Sarà necessario trovarli e ucciderli" rifletté, gli occhi di un azzurro assiderante di nuovo puntati all'esterno, dove la pioggia aveva iniziato a cadere con maggiore intensità, decorata da fasci di fulmini che gli ricordarono il respiro infuocato dei draghi. "Poi dovrò indagare sull'azione delle spie a Bergstad. Spero non siano stati così avventati da pensare di potermi tradire."

In entrambi i casi avrebbe dovuto agire con delicatezza, in modo quasi impercettibile, facendosi aiutare dai Governatori delle rispettive città; era certo che Elias, in nome della loro antica amicizia, non gli avrebbe dato alcuna noia, mentre non poteva dirsi altrettanto sicuro dell'operato degli Hæð – quel casato si era sempre dimostrato ambiguo, composto da individui fin troppo viscidi e legati ai loro interessi, tanto da averlo portato a chiedersi più volte se non fosse necessario deporli. Per quanto ne sapeva, potevano essere stati loro stessi a congegnare la falsa fuga di notizie.

Nella confusione che opprimeva la mente, fra teorie e idee che si rincorrevano l'un l'altra come cavalli imbizzarriti, lo sorprese un pensiero sanguigno, capace di fargli piegare le labbra in un sorriso amaro: immaginò la sposa e l'infante fermi davanti a lui, Cymneat col capo piegato in segno di perdono; vide le sue stesse mani correre alla spada che portava sul fianco e sguainarla, il movimento fluido con cui la lama penetrava nella carne della donna, squarciandole il petto, per poi tagliare la testa al bambino. Cymneat sarebbe stato l'ultimo, bagnato del sangue dei suoi cari e sull'orlo della pazzia.

Un nuovo tuono lo riscosse, portandolo ad abbandonare tali fantasie premature e pericolose. "Dopo, avrò tempo per sognare più avanti" si disse, battendo il piede sul gradino della giustizia. Non gli sarebbero sfuggiti.

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