VIII: Idee pericolose

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Taron si grattò dietro l'orecchio destro, per poi prestare di nuovo attenzione al volume che teneva tra le mani. Si era rintanato nella biblioteca dei Guardiani già da qualche ora, spinto dal pensiero che ormai nessuno potesse lamentarsi della sua condotta, ma la lettura non era riuscita a portare con sé la pace tanto bramata; il luogo stesso, infatti, gli ricordava gli avvenimenti dei giorni precedenti, sussurrandogli nell'animo che non aveva alcun senso mostrarsi disinteressato alle azioni del mutaforma.

Lui voleva sapere.

Nonostante il tentennamento iniziale e il sottile dolore scaturito in lui dopo l'ultima discussione col padre, col passare dei giorni il fermo rifiuto postogli aveva sortito l'effetto contrario. In fondo, faticava a credere fosse stato Everett a inviare il mutaforma dai Guardiani, sia perché si era rivelato un progetto troppo mal pianificato per essere stato ideato dal sovrano, sia perché non riusciva giustificarlo - di che colpa potevano mai essersi macchiate le benedette? Everett, nonostante alcune voci popolari che narravano della crudeltà mostrata nei confronti dei dragonieri, non si era mai permesso di far strage d'innocenti.

A tali motivazioni che lo spingevano all'azione, oltretutto, Taron doveva anche aggiungere il profondo odio che aveva preso a scorrergli nelle vene nel momento stesso in cui aveva visto il collo marchiato di Nives; aveva provato a respingere un simile sentimento, e gli avvenimenti del giorno della processione funebre erano riusciti a ottenebrarlo, ma la notte, quando attendeva di crollare tra le braccia del sonno, la mente lo riportava imperterrito a quell'immagine, senza lasciargli alcuna via di fuga. Voleva far male all'essere, mutilarlo per aver ucciso una giovane e averne ferita un'altra.

"Non sono per niente un'anima nobile."

Si lasciò crollare sullo schienale della poltrona, riflettendo sulle parole con cui Blas aveva tentato di rincuorarlo, impossibili da sostenere. Sbuffando, tornò a leggere senza però prestarci davvero attenzione; nel tentativo di rimanere concentrato si mise a sussurrare le frasi, ma la testa si rifiutava di proseguire. Chiuse il libro con un tonfo sordo e, nervoso, lo appoggiò sul tavolino al fianco della poltrona, per poi passarsi le mani sul volto - possibile che non riuscisse a comportarsi nel migliore dei modi? Non era una bestia e non voleva diventarlo, ma tutto in lui sembrava premere verso quella direzione.

Non avrebbe dovuto pensare alla benedetta, e invece continuava a immaginarla nei suoi sogni.

Non avrebbe dovuto contraddire suo padre, ma non riusciva mai a comportarsi come un buon figlio.

Non avrebbe dovuto voler uccidere il mostro, eppure riusciva a immaginare il sangue della bestia scorrergli tra le dita.

"E pensare che sarei voluto diventare come Everett..." si disse con amarezza, mentre lo sguardo vagava nel vuoto, intento a inseguire immagini lontane. "Onesto, disposto a lottare per le giuste cause, mai governato dall'ira. Come ho fatto a diventare così?"

Si alzò di colpo, il desiderio di prendere una boccata d'aria che mosse i suoi passi e lo portò nel chiostro, dove il gelido inverno lo avvolse di brividi; nella fretta, non aveva neppure afferrato la pelliccia. Fece per tornare all'interno, ma una voce sconosciuta lo inchiodò sul posto.

"Non è semplice neanche per noi, sapete?"

Taron si girò verso il vecchio guardiano appollaiato su una panca, che lo osservava curioso.

"Cosa intendete?" gli chiese, avvicinandosi di qualche passo, desideroso di capire il motivo per cui l'uomo gli avesse rivolto la parola.

"Non accadeva nulla di simile dai tempi delle persecuzioni" spiegò l'altro, piegando le labbra sottili in una smorfia amara. "Sono passati così tanti decenni che anche i più anziani faticano a ricordarsi di quei tempi, quando appartenere all'ordine significava votarsi a una vita di pericoli e privazioni."

HydrusOù les histoires vivent. Découvrez maintenant