XXXVII: Fuggire

796 65 14
                                    

Taron, nel corso di qualche battaglia, si era ritirato.

Non v'era nulla di disonorevole in una simile azione, poiché in caso opposto avrebbe solo condotto alla morte parte dei suoi uomini e lasciato i restanti allo sbaraglio, con poche possibilità di salvezza. Forse i posteri avrebbero preferito l'onore di un sacrificio degno di essere narrato nelle ballate e in lunghe canzoni su cui le fanciulle avrebbero versato fiumi di lacrime, ma Taron teneva molto di più alla sua vita che a una possibile reputazione futura. Oltretutto, ormai non era altro che un maledetto degli dèi.

Eppure, più rifletteva sui motivi che l'avevano allontanato da Saat, più si rendeva conto che non aveva affatto compiuto una ritirata strategica, bensì una fuga per nulla dignitosa; l'aver abbandonato Nives a se stessa lo riempiva di vergogna e rimorso, soprattutto dopo che lei gli aveva rivelato di essere l'unico di cui riuscisse a fidarsi. Non avrebbe mai dovuto mostrarsi così debole.

Neanche raggiungere le truppe e reinserirsi nel perfetto meccanismo da lui creato era riuscito a placare i sensi di colpa, tanto da aver preferito rimanere rintanato nella tenda durante il corso della giornata; l'unica compagna era stata una pipa, capace di dar vita alle sue riflessioni in leggere volute di fumo. Era riuscito ad allontanare la fastidiosa presenza del secondo con una scusa che nemmeno ricordava, ma sapeva che la solitudine guadagnata fosse solo momentanea – Litthard aveva la pessima abitudine di ignorare le distanze che Taron, talvolta, cercava di reinserire nel loro rapporto.

Non finì di dare forma al pensiero che l'ingresso della tenda venne spalancato, rivelando la figura sudaticcia del secondo. "Massimo una settimana e potremo iniziare la nostra marcia su Havnen!" esclamò l'uomo con un sorriso entusiasta che gli illuminava il viso abbronzato. "Finalmente, direi! Se la tua sortita a Saat si fosse prolungata di qualche giorno ancora, avrei avuto problemi a trattenere gli uomini dal lanciarsi verso le mura della città senza nessuno a guidarli."

Taron, sdraiato sulla branda, lo guardò con poco interesse, continuando a fumare. Non aveva neppure la forza di fingersi eccitato davanti alla prospettiva di dover rischiare la vita; anelava sì l'adrenalina e la foga della battaglia, ma il prezzo da pagare era alto.

Litthard, notando lo stato in cui versava l'altro, appoggiò le mani sui fianchi e gli lanciò un'occhiata penetrante. "Cos'è accaduto a Saat?" chiese senza giri di parole.

"Niente" rispose lui, appoggiando il braccio sugli occhi. Gli stava venendo un mal di testa terribile.

Sentì l'altro sbuffare e una sedia spostata in malo modo. Non fece resistenza quando la pipa gli fu strappata dalle mani da Litthard, che si sedette facendo scricchiolare le fascine. "Allora alzati e fai ciò che devi."

La voce del secondo lo colpì come una frusta, costringendolo a sedersi e a guardarlo negli occhi. La testa gli pulsava troppo e l'unica frase riuscita a farsi strada nel nulla gli era scivolata fuori dai denti senza che potesse provare a fermarla.

"Non osare darmi degli ordini."

"Oso. E ti tirerò un pugno sui denti se non mi dici cosa sta accadendo."

Entrambi si osservarono per una manciata di minuti, sapendo che distogliere lo sguardo avrebbe significato darla vinta all'altro. Alla fine, però, fu Taron a cedere con un sibilo adirato. "Andate al diavolo, tu e la pipa!"

Si stese di nuovo sulla branda, punto dall'intenso desiderio di rimanere da solo, senza nessuno a disturbarlo, quasi fosse tornato a essere un bambino capriccioso che, a ogni problema, non poteva far altro che rinchiudersi in se stesso. Infantile, in quel momento era solo infantile.

Litthard si alzò per andare ad accomodarsi vicino a lui, spostandogli le gambe per farsi spazio. "Cos'è accaduto a Saat?" gli chiese ancora, privo di tatto. "Ti avverto che te lo domanderò fino a quando non mi racconterai tutto."

HydrusDonde viven las historias. Descúbrelo ahora