Epilogo

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Non l'aveva compreso.

Quella ragazzina di poco conto non era riuscita a guardare oltre la maschera che Everett aveva indossato per tutti gli anni passati, costretto a farlo per reggere al meglio il suo regno: era stato il malvagio, colui che aveva ucciso e torturato per stringere tra le mani una corona non sua dalla nascita, ma di sangue versato. Se non fosse stato lui, sarebbe stato qualcun altro.

"E tutto questo solo per mantenere il potere" pensò, mentre Nives si scioglieva in lacrime sul corpo di Mano Rossa, accarezzandogli i capelli e lasciandogli baci sulle palpebre abbassate. Everett non credeva che simili gesti potessero nascere da un sentimento d'amore, ma dalla consapevolezza che, d'ora in avanti, non avrebbe più avuto nessuno disposto a supportarla.

Era più grande il suo, di dolore. Costretto dalla necessità, si era macchiato di un crimine orribile nell'uccidere il figlio di un caro amico ormai perduto da tempo, e un passo così grande gli pesava sulle spalle più della sconfitta farlocca a cui l'aveva piegato la nuova sovrana. Riusciva a ricordare Taron da bambino, se solo si concedeva di far vagare la mente, e lo rivedeva intento ad allentarsi le prime volte – il modo goffo in cui sorreggeva la spada, il pessimo equilibrio, le lamentele strette tra le labbra per la fatica e il freddo... Se non si fosse invaghito di Nives, sarebbe stato dalla sua parte e le cose sarebbero andate in modo diverso.

In ogni caso, nonostante il cuore si contorcesse davanti a quelle false lacrime, non aveva alcun diritto di giudicarla. L'amore, anche falso, aveva sempre mosso gli uomini e lui stesso.

"Le ho fatto imparare l'amarezza della vittoria" pensò, lasciandosi sfuggire un sorriso dal sapore ironico. Erano più simili di quanto desiderassero.

"Forse dovrei uccidervi."

La voce della sovrana, tagliente, lo ricosse dall'apatia in cui stava scivolando. Everett la osservò con un sopracciglio alzato e la bocca serrata; si obbligò a non provocarla, non se era così sconvolta da valutare di cambiare ancora una volta la sua risoluzione.

"Non dite niente?" La giovane si avvicinò a lui, le mani sporche di sangue e il viso rigato da lacrime silenziose. "Non mi supplicate? Non tentate di manipolarmi?"

"Io non supplico."

Era possibile che tale affermazione risultasse ridicola, considerando lo stato di prigionia in cui versava, ma Everett fu soddisfatto nel rendersi conto che la ragazzina era stata scossa da un tremito improvviso, subito placato nel tentativo di apparire forte. Lo temeva, e tanto gli bastava.

"Sapete quando arriveranno gli altri?" Nives si rivolse al dragoniere. "Non possiamo rimanere nelle segrete. Dove vi eravate nascosto?"

Si scambiarono qualche commento a mezza voce, le mani che gesticolavano frenetiche e gli occhi che spesso si posavano sulla sua figura. Everett riusciva a percepire la loro paura, il sentore di un nuovo fallimento che aleggiava nelle loro menti e li portava a sudare e sibilare parole incomprensibili alle sue orecchie. Lui pensava, invece. C'era un'altra possibilità, in effetti.

"Potreste unirvi a me."

Nives si voltò per guardarlo con disgusto. "Perché mai?"

"Vi farei uscire da qui illesa" replicò, trattenendo un sorriso. "Dopodiché, si potrebbe trovare un accordo pacifico, qualcosa che soddisfi entrambi."

Everett la vide vacillare, lo sguardo velato dal pensiero che forse si poteva tentare qualcosa di differente ed evitare nuovi spargimenti di sangue. "Dividere i territori" continuò lui, il tono ridotto a un sussurro. "Conquistare il Laeiros, così da eliminare un serpente peggiore..."

Le sue parole, però, furono interrotte dall'improvviso sferragliare di alcune armature. Attese impassibile, la coscienza che oscillava tra la speranza e la disfatta, mentre il cavaliere scivolava nel corridoio, pronto ad accogliere alleati o a morire nel tentativo di difendere la regina. Trattenne un grugnito divertito davanti a un pensiero tanto insulso.

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