XXII: L'indomabile

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Nei giorni precedenti alla prova voluta dal Consiglio, Nives si era subito resa conto che non sarebbe mai riuscita a domare un drago facendo affidamento solo sulla sua forza fisica. Erano troppo grandi e troppo potenti in confronto a lei, una ragazzina che era riuscita a sopravvivere a malapena nei boschi e non aveva mai ricevuto la preparazione necessaria per poter anche solo sognare di combatterli.

Winloas stesso, oltretutto, aveva affermato che non ce l'avrebbe mai fatta, o almeno non nel modo canonico.

"I draghi sono delle creature molto intelligenti" era stata la prima cosa che le aveva detto durante una lunga serie di colloqui, tutti volti a stabilire il miglior piano d'azione. "Comprendono subito se il cavaliere che si presenta davanti a loro è degno di fiducia e se potrà essere un buon compagno."

Nives aveva sentito il cuore balzarle in gola dopo una simile affermazione, la possibilità che il drago di Cymneat non la trovasse degna che le aveva fatto sudare le mani e seccato la gola.

La seconda affermazione, se possibile, era stata ancora più sconfortante. "Prega i tuoi dèi che il sangue dei Bálit scorra in te più forte di quello di Sætleiki, altrimenti il drago non potrà mai parlarti."

La notte precedente, sdraiata sul letto della piccola stanza in cui il Consiglio le aveva permesso di riposarsi, la cui porta era sorvegliata a ogni ora da una guardia, Nives aveva chiesto agli dèi di farle prendere sonno, di scacciare l'ansia che le divorava la bocca dello stomaco, attorcigliandola e rendendo ogni respiro sempre più pesante. Nel momento in cui il cielo, nascosto in parte dal drappo dell'unica finestrella presente, si era tinto d'inchiostro, nero come mai l'aveva visto, era crollata tra le braccia di un sonno ancora più nero, privo di sogni o speranze.

La mattina si era svegliata col sole e, nell'attesa che la chiamassero, aveva osservato le stelle farsi pallide, affogate da un mare rosa tenue e aranciato. Gli ultimi brandelli di sonno erano stati scacciati dalla consapevolezza che, qualsiasi cosa fosse accaduta, avrebbe cambiato per sempre la sua vita.

"Forse morirò" aveva pensato con amarezza mentre si vestiva. "O forse domerò un drago" aveva aggiunto, nel tentativo di placare il tremore che le aveva reso complesso raccogliere i lunghi capelli in una treccia.

Era stata grata che Winloas, ostinato, avesse deciso di accompagnarla all'arena, rimanendo al suo fianco fino a quando un paggio, inviato dal Consiglio, aveva ricordato al sovrano con parole frettolose e attorcigliate che il suo posto non era nelle viscere della costruzione, al fianco di una ragazza più morta che viva, ma sul palco reale, vicino ai dodici. Non poteva rendersi così ridicolo. Il reggente aveva accolto il messaggio con un ringhio, ma, a malincuore, se ne era dovuto andare.

"Sii forte" le aveva detto, stringendole la spalla destra con la grossa mano. "Non aver paura."

"Non ne avrò" aveva risposto lei in un moto di coraggio. Appena Winloas era uscito, però, tale impulso era sparito, lasciando spazio a un vuoto ovattato di terrore e ansia.

Osservò per l'ennesima volta l'ambiente sotterraneo in cui si trovava, illuminato solo da alcune torce; era una camera spoglia, contenente una panca appoggiata alla parete sinistra e delle strette feritoie attraverso cui scivolava una fredda brezza, tanto da farle pensare di essere in una gabbia. Si alzò in punta dei piedi, le mani appoggiate sul muro, e scorse la terra sabbiosa e rossastra dell'arena che avrebbe dovuto calcare a breve.

Un lontano rumore di passi la riscosse e la portò a girarsi verso la porta chiusa, che venne spalancata poco dopo da una guardia.

"Mia signora." L'uomo abbassò il capo, in un gesto di rispetto che mai si sarebbe aspettata. "Il Consiglio e il sovrano vi invitano a presentarvi davanti al loro cospetto."

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