XLIII: La piazza del mercato

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"Non riuscirete mai a raggiungere la piazza del mercato."

La frase pronunciata da Orvina un paio di giorni prima, mentre lei e Taron cercavano di stabilire quale fosse il miglior modo per muoversi inosservati tra le vie della città, era diventata per Nives un ronzare fastidioso che mai abbandonava l'incavo delle orecchie. Aveva provato a replicare, cercando di ignorare la sensazione che la donna, in realtà, non fosse loro alleata, ma l'improvvisa stretta di Taron sul gomito l'aveva ammutolita e costretta ad attendere.

"Rimanete alla locanda qualche altro giorno" aveva infatti continuato l'altra, sulla soglia della camera. "Giusto il tempo necessario a Cain di muoversi coi suoi soldati. Potrebbe non essere sicuro per voi in città."

Nives aveva alzato un sopracciglio, sorpresa e confusa al tempo stesso. "Cain sta venendo qui?"

"Certo. Sa che siete a Feluss, così come è noto al tiranno" aveva spiegato. "Penso ci vorrà poco prima che inizi a cercarvi..."

"Allora non saremo al sicuro neppure in questo luogo" aveva replicato Taron, steso ancora a letto a causa del corpo affaticato. "Meglio tentare la sorte e ricongiungerci ai nostri compagni."

"Ma qui potrei nascondervi. In superficie no."

"Ma noi possiamo fidarci te?" aveva pensato Nives. "Possiamo fidarci di Cain?"

Appena Orvina era uscita non erano servite molte parole tra lei e Taron per stabilire che la risposta ai suoi dubbi era solo una: no, non potevano. Rimanere nelle mani di una spia del sovrano del Laeiros era pericoloso, visto quanto l'uomo pareva a entrambi un'accozzaglia di marciume, ma d'altro canto vagare per le strade di Feluss alla ricerca dei compagni avrebbe potuto essere ancora più rischioso.

"Credi dovremmo darle ascolto?" le aveva chiesto Taron, grattandosi la barba. "Ho il timore che la sua gentilezza potrebbe trasformarsi in una trappola peggiore di qualsiasi cosa ci stia riservando Everett."

"Non possiamo saperlo" aveva sospirato. "Se solo ci fosse modo di sapere dove sono gli altri..."

Se non avesse saputo che era al servizio di Cain, Nives avrebbe accolto l'aiuto della donna a braccia aperte. Il sovrano del Laeiros, però, era ancora un'incognita, e lei ricordava bene ciò che era successo durante il breve soggiorno alla sua corte, i tranelli che le aveva teso, gli sguardi lascivi e assetati di potere con cui l'aveva studiata... Rabbrividiva ancora al ricordo dei suoi occhi eterocromi. Sentiva che Cain era un alleato pericoloso, capace di sgozzarti durante il sonno dopo aver giurato più volte sugli dèi che sarebbe stato di guardia per tutto il corso della notte.

"Se andassi solo io?" le aveva proposto Taron, ma l'idea era stata subito scartata. Sarebbe certo stato più sicuro per entrambi, visto che lui sapeva come muoversi in città e valeva molto meno agli occhi di Everett; gli sarebbe bastato ritrovare Magnus e i cirment, per poi procedere come si era stabilito.

"Ma se Orvina mi tradisse..." aveva ribattuto Nives, sottolineando quanto fosse per lei rischioso rimanere da sola nel quartiere magico. "Non ci resta che andare insieme, lo sai."

Taron aveva accolto l'idea con un sospiro sconsolato. "Ne sei certa?" le aveva chiesto un'ulteriore volta, facendola tremare davanti al baratro delle incertezze apertosi nella sua mente.

Aveva annuito, incapace di pronunciare alcuna parola senza far vacillare la voce, e il resto della giornata si era accartocciato su se stesso, per confluire infine in un sonno agitato e privo di sogni. Nei giorni successivi avevano programmato come si sarebbero mossi e Orvina, nonostante il loro rifiuto, li aveva aiutati riportando i sussurri colti dalle guardie che bloccavano il passaggio in superficie – giravano voci su prigionieri giustiziati e truppe in avvicinamento dall'occidente – e dando loro abiti e mantelli provvisti di cappuccio, così da nascondere le loro fattezze a occhi poco attenti. Si era anche proposta di fare una nuova fattura su entrambi, ma aveva accompagnato l'idea sottolineando che non sapeva come avrebbe risposto il corpo del generale alla trasformazione; scegliere di non rischiare una ricaduta era stato naturale.

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