XVII: In cammino

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Nives aveva trascorso i giorni successivi alla fuga in viaggio.

Non sapeva quale fosse la migliore strada da percorrere, né se sarebbe mai arrivata a destinazione, così come molti altri dubbi le riempivano l'animo di inquietudine. L'unica certezza che possedeva era che, per raggiungere Centrum Norr, avrebbe dovuto trovare il modo di attraversare le montagne in pieno inverno o, al massimo, all'albeggiare della primavera.

"Potrebbe esserci qualche vecchio sentiero..." pensò, osservando le creste lontane, imbiancate dalla stessa neve che aveva coperto la pianura. "Ma se qualcuno mi vedesse?"

Stretta al tronco della quercia nodosa su cui si era arrampicata seguì il profilo frastagliato delle alture, le cui vette rilucevano sotto il sole del tardo mattino e spiccavano nel loro biancore contro l'azzurro terso del cielo. Con un sospiro, decise di scivolare tra l'intrico di rami, fino a quando i piedi non tornarono a calcare il suolo fangoso del sottobosco, dove solo dei sottili raggi di luce riuscivano a penetrare; raggiunse il cavallo, che aveva lasciato legato a un ramo più basso, e gli accarezzò con delicatezza il manto scuro, beandosi del calore che le trasmetteva anche quel singolo contatto.

"Ehi..." mormorò, mentre l'animale spingeva il muso sulla mano, quasi a salutarla. "Anch'io sono felice di rivederti."

Prese le redini e, un passo alla volta, tornò ad avventurarsi tra le ombre dei tronchi, riflettendo su ciò che era accaduto dalla notte in cui era fuggita.

Durante le prime ore aveva sofferto la solitudine e la paura di essere subito catturata, tanto da aver pensato di lasciar perdere tutto e tornare indietro; la Cittadella, nonostante i suoi abitanti, avrebbe potuto rivelarsi un buon nascondiglio. Il pomeriggio successivo si era nascosta in una piccola macchia d'alberi piantati non molto distanti dalla via battuta, così da poter riflettere sul suo destino; quando aveva visto alzarsi lenta e inesorabile una lunga colonna di fumo densa e nera dalla città, però, ogni proposito di abbandonare l'impresa era avvizzito, tanto che era subito montata a cavallo e aveva ripreso il cammino, desiderosa di allontanarsi il più possibile da Myrer. Non poteva più tornare indietro.

Solo all'imbrunire, quando aveva scorto sull'orlo dell'orizzonte il profilo della foresta che chiudeva il passaggio verso nord – un intrico di alberi impenetrabili in cui pochi avevano osato avventurarsi dopo la caduta dei dragonieri –, aveva rallentato l'andatura del cavallo, tirando un sottile sospiro di sollievo: protetta dalle fronde, la sua fuga sarebbe stata favorita. Visto ciò che era accaduto dopo, era stato un bene si fosse fermata per sgranchirsi le gambe e stabilire se fosse meglio procedere durante la notte, oppure accamparsi vicino al ciglio della strada. Un improvviso ruggito lontano aveva fatto imbizzarrire l'animale, che si era alzato sulle zampe posteriori con un nitrito terrorizzato. Nives era riuscita a non farlo fuggire per pura fortuna, in quanto, nel sentire un simile verso, si era aggrappata lei stessa alle briglie; l'aveva placato a fatica, accarezzandolo e sussurrandogli di stare calmo, anche se lei stessa era spaventata fin nelle ossa.

Aveva poi alzato lo sguardo, seguendo l'eco di un simile ruggito, e i suoi occhi si erano fatti enormi nel vedere sfrecciare tra le nubi del tramonto di un rosso sanguigno due draghi, le cui scaglie brillavano come pietre preziose. Li aveva osservati con un misto di reverenza e terrore scivolare verso le montagne, rimanendo immobile fino a quando non erano spariti.

"Non è possibile" aveva pensato, incapace persino di respirare. "Non può essere vero."

Era stata quella visione a convincerla una volta per tutte che non poteva più tornare indietro.

Quando aveva raggiunto la foresta all'alba si era fermata sul limitare per salutare la pianura, diletto per gli occhi, col cuore a correrle nel petto. Le prime notti trascorse sotto la coltre spoglia dei rami erano state terribili: la neve copriva ancora gran parte del suolo, nonostante i punti più protetti fossero solo bagnati, e accendere un piccolo fuoco con cui scaldarsi era stata un'impresa. Visto che all'inizio non era stata in grado di trovare della legna secca, aveva passato le ore più buie accoccolata sul fianco del cavallo, che in qualche modo aveva convinto a buttarsi a terra, avvolta nelle due coperte di lana e nella pelliccia lasciatale dal servitore del signorino; aveva tenuto un pugnale stretto nella mano e gli occhi spalancati avevano scrutato le ombre, mentre i denti battevano senza sosta. Spesso era riuscita a scivolare in un sonno inquieto solo alle prime luci del mattino, da cui si destava in un bagno di sudore e col solo desiderio di continuare la marcia.

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