7.

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Michael's point of view

Quando ballammo in quella pista, quando tenni strette le mani sulla vita e quando lei mi guardò con quel fare da bambina, un turbine di forti e sconosciute emozioni si fece largo dentro di me. Quando invece percepí la pericolosa vicinanza dei nostri visi, un'altra voragine bensì colma di irrequietezza e tensione si fece spazio fra mente e cuore, creò così in me un vortice di contraddizione e confusione.
La presenza di Mia creava in me un qualcosa che non avevo mai provato, una sensazione di rischio, di tensione ma anche di spiesieratezza e di protezione, sentivo il costante bisogno di doverla proteggere.

«Voglio portati in posto» le avevo detto sicuro di me, lei mi guardò stranita.

«Dove?»

«Lo vedrai» pagai sia per me che per lei, non avrei mai lasciato che si pagasse la cena da sola, avevo un mucchio di dollari forse troppi e per lei, per quelle serate così spensierate li avrei anche spesi tutti.

«Sono troppo curiosa!!» insistette, risi a fior di labbra per la sua adorabile frenesia.

«Non fare la bambina capricciosa, lo vedrai fra poco» appoggiò i piedi sul sedile, ma quella volta non ebbi la minima voglia di rimproverarla.

«Non sono una bambina e ne tanto meno capricciosa.» esclamò incrociando le braccia, ed io scoppiai  a ridere sonoramente.

«Be' ora lo sei, e non si discute su questo.» dissi fra una risata e un altra.

Dopo cinque minuti arrivammo nel posto che avevo pensato, era la terrazza di un bellissimo parco innalzato su di una collina dove si poteva ammirare la meravigliosa Seattle illuminata da migliaglia di luci colorate e soprattutto ravvivata dal bagliore sublime della luna piena.
Scendemmo dall'auto e vidi Mia avvicinarsi alla ringhiera con occhi luccicanti e spalancati, guardò per un attimo il panorama fissandolo senza dir nulla, poi si voltò verso di me.

«E'..meraviglioso Michael, come conosci questo posto?» chiese poi, ritornando a fissare stupita il paesaggio.

«Quando ho voglia di pensare e di riflettere vengo qui.» dissi, sedendomi sulla panchina proprio difronte alla ringhiera e feci segno a lei di raggiungermi. Obbedì, sedendosi senza esitare.
Restammo lì per un po, in silenzio ad osservare punto per punto, colore per colore le luci emantate degli edifici e dai locali, ad ascoltare il fruscio del vento e il silenzio calato sulla città. La mia mano era poggiata sulla panchina in ferro e quella di Mia nella stessa medesima posizione, lei si avvicinò con le dita e due le strinse fra le mie in quell'attimo sentì il fuoco bruciare nel petto e prendere il sopravvento sul mio corpo mandandomi in confusione e in pre dal panico - ero sposato si - ma nulla toglieva che quella ragazza di vent'anni più piccola di me riuscisse così facilemente a farmi sentire bene anche con un gesto semplice come quello. Ricambiai la stretta, ma quando ci guardammo distogliemmo immeditamente le mani poggiandole altrove.

«Si è fatto molto tardi, devo riaccompagnarti a casa» esordì, guardando l'orologio e alzandomi in fretta.

«Lo sai che i ragazzi escono a quest'ora??» incrociò le braccia al petto, la sua espressione un po' corrucciata mi fece sogghignare.

«Si lo so, ma tu ora sei con me e torni quando lo dico io»

«No che non lo decidi» rispose impuntandosi.

«Si invece, altrimenti tuo fratello mi ammazzerà, su entra» risi, e lei sconfitta salì a bordo.

Non appena appoggiò la testa al finestrino, dopo qualche minuto vidi che cadde uno sonno abbastanza pronfondo, io rallentai appositamente allungando il tragitto per riuscire a vederla dormire ancora un po'.

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