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Mia's point of view

Quella mattina volevo assolutamente cullare il mio palato con una buonissima cioccolata calda in una caffettiera graziosa che avevo adocchiato a Harlem non lontano dall'appartamento di mia zia Ivonne. Era passata ormai una settimana, rifiutavo le chiamate di Karen e quelle di Michael che iniziarono di nuovo ad arrivare, questo mi fece leggermente sollevare il morale ma quando ci pensavo troppo le lacrime tornavano a scivolare. Era rincurante per me restare alla grande mela, mi sentivo un minuscolo pezzettino di pane in mezzo ad una tavola enormemente bandita. Ero diventata minuscola e questo mi piaceva, l'immergermi nella solitudine. Volevo stare lontata da Seattle, da Michael e da tutto il resto. Respirai a pieni polmoni sfregandomi le mani  fra loro coperte dai guanti scuri con la speranza che il mio fiato caldo potesse maggiormente riscaldarle. Uno scricchiolio mi parve di sentire quando aprì la porta della caffetteria, mi recai immediatamente al banco ordinando una cioccolata calda da portare. Quando questa fu pronta ringraziai la cassiera e ne bevvi subito un sorso dirigendomi a malincuore, per il meraviglioso calore emanato, fuori dal negozio. Mi soffermai ad osservare la strada, i taxi che scorrevano veloci e le boutique che più catturavano il mio interesse, decisi poi di attraversare la strada nel mentre sorseggiavo un altro po della mia bevanda bollente ma qualcosa mi urtò bruscamente o meglio qualcuno che mi fece rovesciare addosso il liquido caldo e marrone sul mio imbottito giubbotto bianco.

«Maledizione, stia attento no??!» gridai bruscamente mentre osservai l'enorme macchia presente sul tessuto chiaro.

«Mi dispiace, sul serio non ti avevo vista!» esclamò l'uomo, palesemente mortificato, la sua voce mi parve per un attimo familiare. Sollevai lo sguardo: i miei occhi non potevano crederci.

«Tu?!» scandì, mostrando a lui una smorfia di disapprovazione mista allo stupore.

Il ragazzo ci rifletté su qualche secondo, assottigliò gli occhi poi si spalancò ricordandosi immediatamente del mio volto a lui conosciuto.

«Si io. Bel ringraziamento per averti dato un'altra opportunità, se non fosse stato per me nessuno avrebbe mai saputo della tua bella voce» rimasi esterrefatta, innanzitutto per la sua estrema confidenza ma specialmente per la sfacciataggine che veniva fuori dal suo atteggiamento.

«Stai scherzando, vero?» ridacchiai sarcastica. Osservai meglio il giovane, aveva indosso un pesante capotto nero in bottoni beige, dei guanti in pelle e sotto un completo casual.

Tutti a me capitano i gli uomini vestiti bene?

«No, non scherzo. Se non fosse stato per me non avresti mai cantato» scrollò le spalle, pavoneggiandosi.

«Non mi risulta che però mi abbiano presa» controbattei, stavolta alzando la cresta.

«Infatti no, ma non mi fermo qui sai, io sono uno che va affondo nelle cose non mi arrendo» mi schioccò un occhiolino, pensai che fosse matto per rivolgersi così ad una ragazza che neanche conosceva.

Lo osservai sconvolta, dopo di che sorrisi di sghembo lo superai arrivando al marciapiede. Sperai che non mi stesse seguendo.

«Aspetta! Dimmi almeno come ti chiami no?» sfortunatamente mi affiancò, io avanzai il passo.

«Strano, credevo lo sapessi. Siccome hai un atteggiamento piuttosto sicuro» lo canzonai, lui in tutta risposta rise sotto i baffi.

«Si è vero lo conosco il tuo nome, ma sai sarebbe gentile sentirselo dire da te» scocciata, alzai noiosamente gli occhi al cielo.

Continuammo a camminare, cercavo in tutti i modi di ignorare il ragazzo che ormai mi si era appiccicato accanto.

«Ascolta Parker, io non so tu cosa abbia intenzione di fare ma io..»

TWENTY Where stories live. Discover now