05 • storia di un passato

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Peter sembra una brava persona: forse strano, ma certamente meglio di Daniel e tutta la sua famiglia - comunque, non serve molto per superarli in questo.

«Vuole altro caffè, signorina? Un giornale?»

Scuoto il volto, leggermente imbarazzata da tutta questa cortesia a cui non sono certamente abituata, e torno a poggiare il viso sulle mie gambe, strette contro il petto. Ho provato il letto, dopo un bel po' di minuti passati a gironzolare per la stanza senza una meta, e, devo ammetterlo: più è il tempo che passo seduta qui sopra e più sento la mancanza di casa mia.

Mi manca l'odore di incenso, le effigi mortuarie appese alle pareti come quadri, le bare in salotto: forse casa mia poteva sembrare strana a molti, ma era sempre casa, ed ora mi sembra più lontana che mai.

Marcus è lontano, così tanto da non riuscirne nemmeno a sfiorare il ricordo, nascosto in un luogo lontano dalla mia mente. Lui sapeva, l'orologio aveva iniziato a rintoccare, eppure non aveva detto nulla.

Alla fin fine, eravamo davvero simili: così come io, ad un passo dalla fine, ho cercato di risparmiare la visione dei miei ultimi momenti, così Marcus si è spento nel silenzio, senza dare troppo scalpore.

Sfilo dalla mia tasca l'orologio, pulendone il vetro appannato e notando le lancette ancora ferme a cinque minuti dalla ventiquattresima ora. I meccanismi sono fermi, completamente immobili, e l'oggetto sembra quasi più pesante del solito nella mia mano fredda.

La Morte non rifiuta mai i suoi figli, eppure, con me, ha cambiato idea, ed io ancora non ne capisco il motivo.

«Peter?»

Il Topo, che, sino ad ora, non ha fatto altro che sistemare e risistemare i vestiti nel mio armadio, si volta verso di me, alzando le sopracciglia grigie. «Sì, signorina?»

«Tu lavori qui da molto? Nel senso, conosci bene questo posto?»

«Come le mie tasche, signorina,» ammette, sistemando l'ultima gruccia, chiudendo poi l'armadio. «Sono a disposizione dei reggenti da cinque anni.»

«Cinque anni?» Chiedo, sorpresa. «Non sembri così vecchio.»

Peter, di getto, arrossisce, imbarazzato. «Ho diciotto anni, signorina: ero stato scelto dal signor Darko come assistente personale della signorina Daria ma, ahimé, una volta cresciuta, lei ha preferito una compagnia più femminile. Le sono ancora molto affezionato, comunque.»

«Credevo che i Topi avessero un clan proprio,» penso, leggermente confusa. «Non che fossero i servitori delle Volpi.»

«Oh,» Peter abbassa lo sguardo, facendosi subito molto meno gioviale: «le cose sono molto cambiate negli ultimi tempi.»

Lo osservo, non riuscendo ben a collegare i fili – vivere a Ghostie, in quella landa sperduta, può essere bello quando ami la privacy, ma certo non ti permette di restare a contatto con il mondo. «Ti andrebbe di parlarmene? Magari beviamo un caffè insieme: credo si faccia così in questo mondo, giusto?»

Lo sguardo di Peter, alla mia proposta, scatta subito su di me, profondamente sorpreso. «La signorina vuole davvero bere un caffè con me?»

Scuoto le spalle, non capendo il motivo di tanta sorpresa. «Siediti pure.»

Quasi non faccio in tempo a terminare il mio invito, che Peter è già seduto sulla poltroncina azzurra con la caffettiera in mano. «Ci vuole del latte, signorina? Zucchero?»

«Ehm, no,» sussurro, e lui subito mi porge una tazza fumante con un bel sorriso.

«Sa, i signorini Darko e Daniel non hanno mai tempo per bere in compagnia. La signorina Daria, invece, era sempre ben contenta di parlare con me.» Si porta la tazza alle labbra, sorridendo con divertimento. «Si dice che i Topi siano degli ottimi narratori.»

NIGHTINGALEWhere stories live. Discover now