07 • chi ha le mani sporche di sangue?

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La notte è diventata presto la parte più brutta di tutta la situazione.

Riuscire a prendere sonno, a calmarmi e non pensare in un letto che non sia il mio e con l'immagine dei miei fratelli impressa sotto le palpebre non è esattamente la cosa più facile del mondo.

In realtà, ho pianto un po', facendo attenzione a non farmi sentire, quasi Daniel possa davvero passare il suo tempo con l'orecchio attaccato alla porta per capire cosa sto facendo – anche se, per quanto è strano, la cosa non mi sorprenderebbe.

Sospiro, passandomi la mano sul viso, asciugandomi così le guance, e, posando lo sguardo sulla sveglia, noto che sono le cinque del mattino: forse dovrei davvero provare a dormire.

Tiro le gambe intorpidite per la brutta posizione e poi alzo le coperte, pronta a voltarmi sul fianco destro, ma, non appena prendo la forza di farlo, mi ritrovo con la terribile scoperta del non essere più sola.

Il fantasma è adagiato con cura sul mio letto, tenendo il volto fine sul cuscino accanto al mio e il corpo posato sulle coperte intonse. Il suo viso è ancora oscuro, come se annebbiato da una coltre di fumo, mentre il suo fisico asciutto, ora che lo vedo più da vicino, mi ricorda sempre più quello di un bambino.

Solo, cosa potrebbe mai volere il fantasma di un bambino da me? Uno che nemmeno vuole mostrarsi, poi?

«Ciao,» saluto, semplicemente, una volta ritrovata la calma. «Sei riuscito a trovarmi.»

Lui, o lei, ovviamente non risponde, quasi non mi abbia davvero dato ascolto e, dal nulla, si rialza, scivolando come una farfalla vicino alla porta che da direttamente sul salottino centrale.

«Non posso uscire: Daniel mi controlla,» spiego, capendo le sue intenzioni.

Scopro, però, che quel fantasma non sembra accettare così facilmente un rifiuto: posa la sua mano bianca sulla maniglia chiusa e, come se niente fosse, la sblocca, svolazzando oltre l'uscio e facendomi segno di seguirlo.

Daniel mi ucciderà.

Scivolo giù dal letto, non curandomi di indossare le pantofole – troppo rumorose – e cammino a piedi nudi sulla moquette chiara, seguendo il fantasma che, quasi abbia imparato la cartina della torre nord a memoria, mi conduce fuori dagli appartamenti della Volpe, attento ad evitare ogni guardia. Come è possibile?

«Non mi piace questo posto,» ammetto, continuando a camminare al suo fianco. «Daniel mi ha salvato la vita senza un apparente motivo e ha fatto del male ad una guardia per proteggermi: sembra quasi voglia essere gentile, senza però esserlo davvero.»

Lancio uno sguardo al fantasma, ma lui rimane impassibile, continuando a fluttuare in silenzio. Non posso esserne certa, ma, sulla mia pelle, continuo a provare una strana sensazione, come se, dallo spirito incorporeo del ragazzino, si irradiasse un moto di tristezza.

«Tu conoscevi Daniel?»

Il fantasma si volta verso una porta parallela al corridoio da cui siamo arrivati e, svolazzando, mi indica la maniglia. Io, di rimando, tento di aprirla, ma, ovviamente, questa non stenta a resistermi.

«Non potresti aprirla tu?» Chiedo, ma, quando mi volto di nuovo verso di lui, un gelido ago mi trapassa il cuore, facendomi capire ogni cosa. «Non puoi.»

Il fantasma si allontana dalla porta, e, da spettro quale è, si dissoglie nell'aria, non lasciando nemmeno un ricordo di sé.

Ed io rimango sola, in piedi, con ancora lo sguardo puntato sulla porta bloccata e l'unghia del pollice fra i denti per il nervosismo.

Le leggende, su questo, sono piuttosto chiare, e, per noi Usignoli, non esiste niente di più affidabile: i fantasmi non hanno corpo, non hanno limiti, se non uno.

NIGHTINGALEWhere stories live. Discover now