12 • il mondo sommerso

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«So che avevo promesso di non fare domande,» ammetto, senza giri di parole: «ma credo sia nei miei diritti chiedere spiegazioni a riguardo.»

Daniel sorride, divertito, mentre attende a braccia conserte contro la parete dell'ascensore, squadrandomi da capo a piedi. E fa bene, davvero, perché deve assolutamente rendersi conto del modo in cui mi ha conciata.

Questa mattina, Peter si è presentato in camera mia con un pacco regalo ed un sorriso smagliante sul viso – ed io sono stata ingenua, perché avrei dovuto capire fin da questo che presto sarebbe successo qualcosa di estremamente terribile.

Semplicemente, avrei voluto sbagliarmi, ma, ora che mi ritrovo con questi assurdi pantaloncini color kaki ed una maglietta bianca fin troppo attillata per i miei gusti, capisco bene che è troppo tardi per i ripensamenti.

Almeno, posso sperare in una spiegazione, pregando che questa basti per alleviare il senso di vergogna.

«Ti ho già detto che gli abiti li ha scelti Daria, non io,» ripete, semplicemente. «Comunque, non sei così male come credi.»

Aggrotto la fronte, non credendo a nessuna delle sue parole, soprattutto con i miei poveri piedi fasciati in un enorme paio di scarponcini dalle suole chiodate. In realtà, la cosa più difficile da accettare è che anche Daniel è stato costretto alla mia stessa punizione, ma, su di lui, l'effetto non è decisamente lo stesso: i pantaloncini neri non lo fanno sembrare ridicolo, non con i muscoli ben delineati delle sue gambe in bella mostra, e la maglietta azzurra pare fatta apposta per fasciare il suo torace come una seconda pelle.

Per lo meno, sarà lui a portare lo zaino con tutto il necessario – per cosa sia questo necessario, però, non mi è dato saperlo.

Sbuffo, sollevando una ciocca di capelli dalla fronte, e stringo le braccia con nervosismo mentre l'ascensore continua la sua discesa. «Ti detesto.»

«Quindi, ora mi incolpi anche per ciò di cui non sono responsabile?» Domanda, alzando un sopracciglio. Credo che ormai Daniel si sia arreso al mio caratteraccio, dato che, semplicemente, nemmeno si prende la briga di offendersi: probabilmente, è la scelta migliore, dato che, in questo modo, mi priva di qualsiasi possibilità di continuare le mie ribellioni.

«Posso sapere dove mi vuoi portare?» Chiedo, di nuovo, e le ante dell'ascensore finalmente si aprono, mostrando lo stesso parcheggio che ho visto il giorno in cui sono arrivata.

Daniel si stacca dalla parete d'argento, sporgendosi verso di me con il solito sorriso perspicace. «Dove nemmeno il tuo odio potrà trovarci.»

Lo seguo mentre si avvicina ad una jeep azzurra, sistemando lo zaino sui sedili posteriori e infilandosi gli occhiali da sole neri mentre si mette al lato guida. Io mi accomodo al suo fianco, e devo ammettere che, in realtà, pensare che, la prima volta in cui sono arrivata Sandhole, l'ho fatto nel baule di un camioncino e non su un comodo sedile mi fa un certo effetto.

In un certo senso, mi fa sentire in colpa, come se, in realtà, stessi dimenticando chi è veramente Daniel: un assassino, un rapitore, una cattiva persona.

Non dovrei sentirmi bene al suo fianco, non è giusto.

«Mary?»

Daniel sta aspettando l'apertura del portone del parcheggio, e, intanto mi osserva, mentre, come una bambina spaventata, mi tengo le gambe al petto e quasi mi nascondo contro la portiera della macchina.

«Sto bene,» dico, semplicemente, e sforzo un sorriso. «Partiamo per l'avventura

La Volpe non è convinta – ovviamente, non è così stupido da credere ad una così vana bugia – ma non mi tradisce, limitandosi a scostare lo sguardo, tornando alla strada. «Come vuoi.»

NIGHTINGALEWhere stories live. Discover now